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Milano

Scola: «Lavorare uniti e aperti al domani, come cristiani consapevoli»

Nella parrocchia San Giuseppe Calasanzio, nel decanato cittadino “San Siro” il cardinale Scola ha presieduto la Celebrazione eucaristica nella 37a Giornata per la Vita. «Difenderla sempre dal concepimento alla morte naturale», ha detto

di Annamaria BRACCINI

1 Febbraio 2015

«Quando la domenica ci raduniamo attorno all’Eucaristia, un gesto che muove la nostra libertà, dobbiamo chiederci perché e per Chi lo facciamo. Cosa cerca la mia libertà in questo gesto che ha cambiato la storia, l’intera famiglia umana e ciascuno di noi? Perché sono qui? Qual’è la ragione profonda che il mio cuore custodisce?».

È in un richiamo alla consapevolezza cristiana che il cardinale Scola definisce il senso del suo celebrare appunto l’Eucaristia tra la gente della parrocchia San Giuseppe Calasanzio, affidata ai Padri Scolopi, una delle sei parrocchie del decanato San Siro.

Nella chiesa che festeggia i cinquant’anni di consacrazione, si affollano i fedeli, concelebrano nove sacerdoti, tra cui il parroco padre Paolo Rocca che dà il benvenuto, ricordando «i momenti di preghiera e culturali di preparazione alla visita», il decano don Paolo Zago e gli altri parroci del Decanato. Sacerdoti con cui l’Arcivescovo – a sottolineare l’unità del clero intorno al Pastore – pranza dopo la Messa, il momento eucaristico che, per usare le parole dell’omelia, è il gesto più importante che l’uomo può compiere e che, dunque, obbliga a riflettere.

Guidati dalle Letture – il libro della Sapienza, la Lettera di Paolo ai Romani, il Vangelo di Luca con il miracolo della tempesta sedata – il percorso che il Cardinale propone è, allora, un itinerario di consapevolezza e presa di coscienza. A partire da quel «desiderio che tutti condividiamo, la salute del cuore e della mente e nello stesso tempo la salvezza», pur essendo «costretti a passare attraverso l’esperienza terribile della morte». Fatto ineluttabile e che, pure, non è la fine di tutto perché, come dice il Prefazio “La nostra esiguità di creature mortali si insublima in un rapporto eterno”.

Così – scandisce l’Arcivescovo – «la nostra esistenza nel tempo comincia a fiorire nella vita senza fine e l’uomo passa da una condizione di morte alla salvezza». Ciò che Scola chiama il “per sempre”, «parola difficile per il mondo di oggi, ma che è propria delle relazioni autentiche e della vera natura dell’amore».

Perché, seppure «siamo capaci di infinito, aneliamo a Dio e al compimento totale di noi stessi, a durare oltre la morte, la risposta a questa domanda non è tuttavia in nostro potere» e solo la salvezza scioglie questo enigma. «La salvezza è il volto amato di Gesù che ci accompagna fino alla stato in cui saremo sempre con lui. Così la morte e il peccato non sono un’obiezione radicale al nostro essere per sempre. Ecco perché la Chiesa oggi ci propone il miracolo della tempesta sedata, dove il mare in tempesta è la metafora della nostra vita».

Vita su cui si sofferma l’Arcivescovo, nella domenica in cui si celebra la 37° Giornata nazionale per la Vita: «Occorre – dice, infatti – rispettare la vita dal concepimento alla morte naturale. L’aborto è fonte di dolore profondissimo, ancora più marcato perché l’Italia è al penultimo posto in Europa per tasso di natalità. Un tale “gelo demografico” è un dato che deve fare riflettere, soprattutto di fronte a forme e mezzi che rischiano di infragilire la società intera, come le “madri surrogate” o gli uteri in affitto per cui si rischia di mettere al mondo figli orfani di genitori viventi. La Chiesa quando dice questo vuole dire sì ala vita, non parla per partito preso, non difende suoi interessi, difende le giuste relazioni».

«Se seguiamo con onestà queste convinzioni, la nostra fede esce dalle porte della chiesa ed entra nella società, ogni attività e rapporto quotidiano. Non dobbiamo dimenticare che siamo figli di un Dio incarnato, che ci accompagna, giorno dopo giorno, in una vita che è destinata a durare».

Come a dire, la domanda con la quale il Signore invita i suoi a chiedersi dove sia la loro fede, è la stessa che rivolge a noi oggi.

«Una Chiesa senza il volto di Dio espresso è una Chiesa in tempesta, una società senza Dio sarà forse possibile, ma occorre chiedersi se sarà a favore o si rivolterà contro l’uomo la cui ultima domanda è appunto Dio», conclude l’Arcivescovo.

E alla fine di quella che il, Cardinale chiama «una bella assemblea eucaristica», c’è ancora spazio per un’ultima raccomandazione: «So che la vostra comunità interpreta bene la missione della Chiesa in uscita – come peraltro è scritto su due grandi manifesti ai lati dell’altare maggiore –, camminate in questa direzione. Soprattutto in queste fasce semiperiferiche della città, si deve creare, con apertura del cuore e della mente, la fisionomia del nuovo milanese. Basta guardare i nostri chierichetti per capire che siamo destinati a un mescolamento di etnie. La chiusura non serve a nulla, nella storia ogni volta che l’uomo si è chiuso ha perso energia nella costruzione di una società giusta. Vi raccomando di restare uniti nel bisogno più profondo, che è bisogno di Dio, offrendo ciascuno il proprio contributo e rendendo presenti i valori in cui crediamo. Si deve essere chiari in una proposta che non è una pretesa».

E richiamando la luminosa figura di san Giuseppe Calasanzio, il «primo a creare una scuola libera e popolare» comprendendo la necessità di educare i ragazzi, l’ultimo pensiero è appunto per i giovani: «Imparate ad amare in vista della vocazione specifica che Dio offre a tutti. Se qualcuno sente la volontà di darsi per intero al Signore ne parli senza timori».