Sirio 26-29 marzo 2024
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Cristo Re

Scola: «La vita della comunità cristiana
è un anticipo di eternità»

Il Cardinale domenica 30 agosto ha celebrato a Messa nella parrocchia in via Galeno a Milano, per il 50° anniversario della sua fondazione. Una comunità, gestita fin dall’inizio dai Padri Dehoniani, presente nel quartiere di Villa San Giovanni

30 Agosto 2015

«Noi partecipiamo fin da ora, attraverso la missione di Gesù, all’ingresso dell’eternità nel nostro tempo. La vita della comunità cristiana è un anticipo di eternità, è un modo con cui lentamente impariamo a scoprire che siamo nati per vivere sempre con il Signore. Il passaggio doloroso e triste della morte, che comprensibilmente umanamente ci fa paura, non è un finire nel niente, ma è un finire nelle braccia della Trinità ed essere sempre con il Signore». Lo ha detto nell’omelia il cardinale Scola domenica 30 agosto celebrando la Messa nella parrocchia di Cristo Re (via Galeno 32 a Milano) per il 50° anniversario della sua fondazione. Una comunità, gestita fin dall’inizio dai Padri Dehoniani, nel quartiere di Villa San Giovanni alla periferia Nord-Est della città.

Una presenza che ha inciso molto non solo nella formazione della comunità cristiana, ma anche nello sviluppo del quartiere: «Cosa sarebbe la vita delle nostre famiglie e dei giovani senza l’impegno quotidiano a infondere nelle normali circostanze, che ogni realtà è chiamata a vivere, senza quel cuore della parrocchia che alimenta una visione di fede sulla vita».

Questa comunità rappresenta lo sviluppo della metropoli negli ultimi decenni: dalla prima immigrazione dal Sud Italia, all’attuale immigrazione internazionale. «I 50 anni della vostra storia – ha detto l’Arcivescovo – rappresentano la grande risorsa per la vita buona, ad essa si stanno incorporando anche gli immigrati che provengono da vari Paesi del mondo che lentamente contribuiranno a creare la nuova fisionomia del cittadino di Milano e dell’Europa».

Scola ha sottolineato l’importanza di una fede incarnata nel quotidiano della vita: «Un forte richiamo alla responsabilità personale e perciò comunitaria di fronte al dono della fede che genera appartenenza liberante alla Chiesa. Il primo richiamo alla responsabilità: dov’è il mio cuore rispetto a Gesù? Sono veramente teso nel quotidiano a dare del tu a Cristo? Egli è una presenza viva e concreta nella mia vita come quella della moglie, del marito, dei figli, degli amici, di quelli che sono in comunione con me nella parrocchia, di quelli che lavorano con me nel quartiere, nella società civile? Insomma là dove è il tuo cuore lì è il tuo tesoro».

L’Eucarisita è il centro della vita cristiana: «Noi viviamo questo bellissimo gesto domenicale – si è domandato il Cardinale – solo come rito esteriore o come il punto di partenza che rinnova il quotidiano, lo portiamo fuori (siamo una Chiesa in uscita come dice papa Francesco) dalla Chiesa e investiamo con esso la vita delle nostre famiglie, in modo che tutto ciò che di buono o meno buono è valutato insieme con gli occhi della fede?».

L’Arcivescovo ha sottolineato la grande attualità di un versetto di Isaia: «Mettere insieme qualcosa che il mondo ci comunica attraverso i media. Basta pensare i dibattiti sulle questioni scottanti in atto nel nostro Paese: da quella dei divorziati risposati e la loro ammissibilità al sacramento eucaristico, fino all’immigrazione, dalla povertà a un modo di concepire la sessualità. Non viviamo noi di un “imparaticcio”, un’idea rubata qui o là? Fino a che punto andiamo alla radice cristiana, al senso della fede, al pensiero di Gesù, al modo con cui la Chiesa ce lo raccomanda attraverso il magistero, una riflessione adeguata soprattutto nella famiglia? Questo è un richiamo fondamentale alla nostra responsabilità. Ecco perché la Diocesi si impegnerà nel nuovo anno pastorale ad approfondire cosa significhi avere i sentimenti e il pensiero di Cristo».

E in conclusione un richiamo alla figura di Giovanni il Battista: «Come è lontana da noi la normalità di questo atteggiamento di umiltà; come facciamo fatica a disporci a fare spazio all’altro, alla sua sensibilità magari diversa della mia. Invece è questa la strada per assumersi fino in fondo la responsabilità verso la fede».