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Milano

Scola: «La nostra società ha bisogno
di dedizione motivata»

Il Cardinale ha presieduto l’Eucaristia nel Santuario di San Camillo de Lellis. Alla comunità in festa per le celebrazioni del Centenario camilliano, ha raccomandato di vivere il servizio a chi è nel bisogno con amore

di Annamaria BRACCINI

6 Luglio 2014

«Un momento insostituibile di confermazione nella fede e nell’amore misericordioso che san Camillo ci ha lasciato».
Le parole con cui padre Giuseppe Rigamonti, superiore della Comunità camilliana di Milano, saluta la presenza del cardinale Scola che, nel Santuario intitolato a san Camillo de Lellis, presiede la Celebrazione eucaristica, sono il suggello di un incontro atteso dai religiosi dell’Ordine dei Ministri degli Infermi e da tante gente, operatori sanitari, medici, rappresentanti delle Associazioni di volontariato che svolgono attività di servizio con i malati.
È l’Anno centenario che ricorda la morte, avvenuta nel 1614, del Fondatore cui si aggiunge, in città. l’anniversario della presenza dei religiosi, arrivati a Milano nel 1594. Appena entrato nel Santuario, il Cardinale, infatti, sosta in preghiera presso la reliquia del cuore di san Camillo che, in occasione dell’Anno Centenario, è esposto alla devozione dei fedeli. Accanto all’Arcivescovo, nel neo-gotico e particolarissimo tempio intitolato al grande Santo, ci sono il Superiore provinciale d’Italia, padre Vittorio Paleari, padre Aldo Magni rettore del Santuario detto anche della Madonna della Salute per la venerata immagine della Vergine che si conserva nel Sacello. E concelebrano anche, con l’intera Comunità, il responsabile del Servizio diocesano per la Pastorale della Salute, don Paolo Fontana, il decano del Decanato Venezia, don Natale Castelli, il parroco di San Gregorio, don Sergio Tomasello, nel cui territorio si trova il Santuario.
«La sua conoscenza e competenza sui temi della salute e l’amicizia che ci ha sempre dimostrato, soprattutto ricordando la sua scelta di costituire come diocesano, il nostro Santuario – era il 17 febbraio 2013 – sono un ulteriore stimolo a inserirci nella Chiesa ambrosiana», dice ancora padre Rigamonti, cui fa eco l’omelia del Cardinale che dà voce, anzitutto, a un ringraziamento «sentitissimo», per tutta l’attività svolta.
«Il ricordo di san Camillo è un’occasione straordinaria per convenire in questa chiesa, compiendo l’azione che noi cristiani percepiamo essere di gran lunga la più importante. Per poter vivere un’esperienza autentica di amore, giustamente, la Comunità dei padri camilliani, ha scelto l’Eucaristia, il luogo in cui l’amore di Dio prende posizione per poi diffondersi in ogni ambiente».
Il richiamo dell’Arcivescovo è alle parole della prima Lettera di Giovanni, appunto a quell’“amiamoci gli uni gli altri, perché l’amore è da Dio”, che tesse il filo rosso della sua riflessione. «La parola amore attraversa tutta la liturgia di oggi, con il concetto del “permanere”», osserva. «Se intendiamo parlare di amore in senso adeguato dobbiamo fare spazio a questo permanere, ma questo è esattamente ciò che viene oggi contraddetto dalla cultura dominante, a livello dell’educazione, nella cura degli ammalati o di chi è in situazione di bisogno, come pure là dove si costruisce l’amicizia civica tanto necessaria per un nuovo rinascimento delle nostre terre e del nostro Paese. E questo accade poiché il permanere indica un “per-sempre” che oggi viene largamente dimenticato. Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ci ha amati per primo, mandando suo Figlio per redimerci dai nostri peccati: se Lui ci ha amato così tanto occorre che ci amiamo così anche gli uni gli altri».
Da qui, una prima consegna: «Dobbiamo imparare che la fedeltà e la fecondità non sono due realtà accessorie dell’amore, ma ne sono il fondamento perché laddove mancano fecondità e fedeltà non c’è amore autentico».
Insomma, come diceva san Camillo con una frase celebre e che, non a caso, è stata posta come motto del Centenario; occorre “più amore in quelle mani”.
«Su queste parole si basa tutta la sua novità. Quelle mani oggi contengono tutte le nuove scoperte, dalle tecnoscienze alla biotecnologia, ma se non contenessero quel “più di amore”, avremmo perso il senso ultimo e la radice del nostro operare. Potremmo essere tecnicamente perfetti, ma spezzeremmo quella domanda di “per sempre”, di salvezza, che è nel cuore di tutti. Celebrare san Camillo vuol dire ritrovare il senso profondo del permanere in Cristo, non riducendo l’amore alle nostre interpretazioni soggettive».
E se l’amore vero, effettivo e oggettivo – come suggerisce Scola –, vuole e vive del bene dell’altro, «la lotta quotidiana» è trovare equilibrio nella tensione affettiva, tra le passioni tutte umane che ci caratterizzano e la verità ultima dell’amore che non può che parlare del Signore.
Il grazie è, allora e ancora, per tutta la famiglia camilliana, «e per il mondo del volontariato che si impegna nella cura di chi si trova nella malattia, attraverso un’opera di amore che esprime il grado più elevato di civiltà di un Paese».
Non si nasconde l’Arcivescovo le difficoltà di oggi: «Sappiamo quanto sia complesso vivere e crescere nel rispetto del proprio carisma e della vocazione originaria: per questo è più che mai necessaria una forte sinergia tra le diverse componenti, coinvolgendo i laici – i Camilliani hanno di recente costituito una Fondazione proprio per rispondere al meglio alle sfide attuali – in vista di quell’arte medica che fa spazio a tutto l’uomo e a tutti gli uomini, coniugando salute e salvezza di coloro che chiedono la guarigione, nell’ottica della guarigione finale che è vedere il volto di Dio».
Torna alla mente il magnifico brano di Matteo 25 appena ascoltato: «un Vangelo che ci parla della modalità con cui ciascuno di noi deve andare incontro alla necessità dei fratelli. Su quanto vi è detto si misura il nostro rimanere nel Regno di Cristo. Chiediamoci quale senso del rapporto con Dio e con gli altri abbiamo oggi, che ne è dell’imponenza di Dio nella nostra giornata. L’augurio che rivolgo a tutti è di interrogarsi in profondità, consentendo alla Chiesa ambrosiana di proseguire nella tradizione che la contraddistingue, i cui talenti e carismi dobbiamo trafficare, anche nella memoria di un santo sempre attuale come Camillo de Lellis».
E prima del lungo applauso finale e del saluto affettuoso della gente che attende il Cardinale fino in strada, c’è spazio per una sottolineatura sulla realtà che ci circonda: «Una società plurale come la nostra, nella quale si confrontano e scontrano diverse posizioni, ha bisogno della creatività che viene dal basso, dell’attività e della dedizione motivata come è quella dei Camilliani, espressione ecclesiale e civile di uno stile di azione che ha un grande futuro e che consentirà il passaggio, nel tunnel del travaglio del Terzo millennio, a società più solidale ed equa».

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