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Quaresima

Scola: «La condivisione
che viene dallo stare attorno alla croce»

Seconda Via Crucis presieduta dall'Arcivescovo in Duomo, con le stazioni IV, V, VI e VII. L’invito del Cardinale ad affrontare il tempo quaresimale con penitenza, preghiera, astinenza, digiuno e carità

di Annamaria BRACCINI

10 Marzo 2015

«Occorre domandare la grazia di ascoltare il grido silenzioso dei nostri fratelli, di non essere superficiali nei confronti del tanto dolore che ci circonda». La II Via Crucis guidata dall’Arcivescovo in Duomo per il cammino catechetico 2015, «Innalzato da terra attirerò tutti a me», fa memoria viva e presente delle ultime ore dell’esistenza terrena di Gesù. Si ripercorrono “Gli incontri”, attraverso la IV, V, VI e VII Stazione. Prima, con la sempre bella e suggestiva elevazione musicale, poi, durante il rito, con l’ascolto della Parola di Dio e delle testimonianze, migliaia di fedeli – tra cui quelli della Zona pastorale I (Milano), gli appartenenti ad Azione Cattolica, Apostolato della preghiera, Comunità di Sant’Egidio e Cellule parrocchiali per l’Evangelizzazione, cui si aggiungono i membri del Distretto 2050 del Rotary – entrano nel cuore dell’Innocente che testimonia con il dolore «la sua fedele, indistruttibile amicizia con ogni uomo».

«Partecipando alla preziosissima pratica della Via Crucis siamo inseriti nell’attrazione che è attrattiva, percorrendo un tratto della Via Dolorosa in cui Gesù incontra uomini e donne», dice subito il Cardinale che ha portato la Croce all’ultima Stazione fino sull’Altare maggiore della Cattedrale. Emblema di questa attrazione sono, quindi, gli incontri con la Madre, Simone di Cirene, la Veronica, e il nostro quotidiano incontro con Lui.

«All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva». Da questo, che l’Arcivescovo definisce il «caposaldo della esperienza cristiana», nasce la riflessione, seguendo la Passione in cui le parti, paradossalmente, tra Cristo e gli uomini, sembrano essere invertite: «Non è, come le altre volte, Lui a donare aiuto, consolazione, beneficio; questa volta è Lui che riceve sostegno da loro e anche da noi, poveri uomini, che sappiamo che un tratto decisivo dell’amore è la tensione a condividere totalmente la vita dell’amato, anche se oggi si spegne questa tensione alla totalità della fedeltà e della fecondità». È, d’altra parte, la stessa icona artistica scelta per la serata – Il bacio di Giuda della Bottega di Francesco del Cairo, magnifico olio su tela della metà del Seicento -, a dire tale paradosso in modo violento nel drammatico l’abbandono di Cristo a Giuda e al suo tradimento.

Le testimonianze del poeta Rainer Maria Rilke (IV Stazione), di Benedetto XVI per la V, di Edith Stein e Hans Urs Von Balthasar, rispettivamente per la VI e la VII, sono come un unico grido di strazio che si alza davanti al sacrificio del Figlio di Dio «che ha molti nemici, ma non lo è di nessuno». Come Maria, come le donne fonte della tenerezza delicata, «sempre di fronte allo straziante “spettacolo” del dolore alziamo in mille modi questo grido e purtroppo la cronaca di questi tempi ce ne dà motivo, con tante guerre, tanto terrorismo, violenza, emarginazione. L’uomo lo lancia come pietra di ribellione e lo sente come pesantissimo inciampo, perché anche di fronte al minimo dei dolori fisici, a quelli morali che vengono dal nostro peccato, troppo spesso siamo rapidi, dimenticando che da soli, se non ci fosse il Crocifisso, non ci darebbe tregua il senso di colpa».  

Eppure, sulla Via della Croce, c’è anche l’amore gratuito, quello di Simone di Cirene. È l’«urgenza» dell’amore, «urgenza che pure sentiamo così profondamente conveniente, umanamente autentica, che ci rende una famiglia, al di là delle nostre contraddizioni, dei conflitti, anche se mai come in questi tempi la globalizzazione dell’indifferenza di cui parla papa Francesco, sembra avere la meglio soprattutto nelle nostre società avanzate. Quanta solitudine intorno a noi…», sottolinea l’Arcivescovo. «Per questo – scandisce – la Chiesa, che dobbiamo amare di più in tutte le sue forme, anteponendo l’amore alla critica, perché una critica senza amore non costruisce, come una madre premurosa, ci educa richiamandoci, in Quaresima, a gesti puntuali di carità. Carità che deve essere più fattiva, che deve farsi più vicina ai lontani, come fa, appunto, una madre con i propri figli. «Ecco allora, l’importanza di esporre il nostro bisogno e di aprirci al bisogno dell’altro, nelle forme che anche la nostra Chiesa mette a disposizione», con quella «condivisione che viene dallo stare attorno alla croce». Quando «la nostra concentrazione narcisistica non ci fa guardare al cuore dell’altro, al rovello che ha dentro; laddove vedere la croce non ci viene spontaneo e ci costa fatica», occorre essere consapevoli che solo dalla com-passione nasce la con-solazione, come ha scritto Benedetto XVI.

Insomma, l’uomo non può sostenere da solo la prova del dolore e bisogna «amare Colui che ama per primo e fino alla fine», con azioni di condivisione umana. Ancora una volta è una donna, Veronica, a delineare il vertice e l’esemplarità di un gesto amoroso «ricompensato con il dono del volto di Cristo da custodire», perché, suggerisce il Cardinale con le parole «potentissime» di Edith Stein divenuta Santa Benedetta della Croce, «la scienza della croce non è una teoria, magari per sostenere alla più fragile e più deviante delle posizioni, ma verità viva, reale e attiva».

Tipo di scienza «che dà all’anima un’impronta speciale», come diceva appunto la Santa morta ad Auschwitz. «Quante volte lo abbiamo visto nei nostri cari in punto di morte e lo possiamo vedere nei tanti volti degli immigrati che giungono, quando giungono, scacciati e costretti a partire dalle loro terre».  

È di fronte a tutto questo che occorre domandare la grazia di ascoltare il grido magari silenzioso dei nostri fratelli uomini, di non essere superficiali nei confronti di tanto dolore e di tanta sofferenza che ci circonda. L’invito è ad affrontare il tempo quaresimale con penitenza, preghiera, astinenza, digiuno e carità. «Una carità spicciola e quotidiana – raccomanderà il Cardinale a conclusione del Rito – con le persone più care e con quelle in cui ci imbattiamo casualmente».

Infine, la VII Stazione con la seconda caduta di Gesù, simbolo di pieno abbandono e di obbedienza. «L’etimo del verbo latino di “obbedire” significa ascoltare chi si ha davanti. L’obbedienza, così intesa, è la suprema attività dell’amore; l’obbediente è un “io” teso al a fare spazio al “tu”. Ecco la forza di una relazione – espressione di cui troppo spesso ci riempiamo la bocca -, che raggiunge il livello della comunione».

Qui il punto per non vivere la Via Crucis come una mera “sacra rappresentazione”, ma come principio di cambiamento e di accettazione: «La vita è l’unica strada all’assunzione del reale. Quel Crocifisso è definitivo perché, nell’ultimo abbandono, fa capire agli uomini l’amore, ciò di cui ognuno di noi ha sete. Questo può riscattarci dalla ripetitività noiosa e opacizzante del peccato, Anche quando siamo lontani, Lui continua a esserci e a chiamarci amici».

Infine, la preghiera composta dallo stesso Arcivescovo che è come il sigillo della Via Crucis: «Non vogliamo coprirci la faccia davanti al tuo volto sfigurato dal dolore, ma imprimerlo a tal punto sul nostro volto da diventare riconoscibili come tuoi, come dice Edith Stein, vogliamo essere tuoi nonostante noi».

La Via Crucis andrà in onda in replica su Telenova 2 venerdì alle 21 e sabato alle 7.15.

Il pessimo mercante vende il sole alle tenebre

Giuda torna ad avvicinarsi a Gesù, lo cinge, l’abbraccia, gli prende perfino la mano. Non certo temendo che il Maestro possa sfuggirgli, quanto forse avendo paura di non trovare egli stesso il “coraggio” di portare fino in fondo il suo gesto scellerato, proprio quando tutto ormai deve compiersi... Come ci rivela lo sguardo fisso e vuoto dell’apostolo traditore, la sua fronte madida di sudore, le sue labbra protese e impietrite nel bacio fedifrago, in questo dipinto attribuito alla giovinezza acerba di Francesco Cairo, ancora così vicino ai modi del Morazzone, scelto come “icona” della seconda tappa dell’itinerario catechetico di Quaresima, guidato dal cardinale Scola nel Duomo di Milano. Giuda «mercante pessimo, vende il sole alle tenebre», come recita l’inno ambrosiano dei vespri del Giovedì Santo. Quel sole che è Gesù, alla cui luce l’Iscariota non ha voluto vivere e camminare, pur essendo stato prescelto fra i Dodici, e che ora si rivela come un «falso» apostolo. Fasullo come quel giallo di cui qui si ammanta, brutta copia dell’oro, che non splende, che non rifulge, ma che soltanto ne manifesta l’intima gelosia, la feroce invidia, la livida rabbia. Il quadro, oggi al Museo Diocesano, era fra i preferiti di quel raffinato collezionista che fu il cardinale Monti, degno successore dei due Borromeo alla guida della Diocesi di Milano. Lo lasciò in eredità ai vescovi ambrosiani, affinché, contemplandolo, avessero orrore di qualsiasi tradimento della loro missione pastorale.

Luca Frigerio