Si è svolto nel segno della gratitudine e della cordialità l’incontro di sabato scorso a Seveso tra l’Arcivescovo e i diaconi permanenti della Diocesi di Milano. Prima dell’assemblea plenaria, il cardinale Scola per un’ora e mezza ha incontrato personalmente i 7 futuri diaconi che saranno ordinati il prossimo 15 novembre; al colloquio hanno partecipato anche le rispettive moglie essendo tutti sposati. L’Arcivescovo ha voluto sapere da ciascuno la provenienza e l’ambito lavorativo. Gli ordinandi vengono da cinque zone pastorali: Milano (1), Varese (1), Lecco (2), Rho (1), Monza (2) e rispetto alla professione sono le più varie: informatico, insegnante di religione, funzionario pubblico, impiegato in ambito energetico, comandante della Polizia urbana, responsabile in una ditta di materie plastiche, imprenditore edile. «Sono stati tutti molti contenti per la cordialità dell’incontro», assicura don Giuseppe Como, rettore dell’Equipe per la Formazione al diaconato permanente, «l’Arcivescovo ha voluto conoscerli meglio e ha chiesto alle mogli se sono pienamente d’accordo con la scelta del marito».
La seconda parte della mattinata si è svolta in assemblea: erano presenti un centinaio di diaconi permanenti e gli aspiranti candidati, che nei giorni scorsi hanno partecipato alla settimana residenziale presso il Seminario di Venegono.
Don Como ha tenuto una breve introduzione nella quale ha chiesto all’Arcivescovo «che cosa si aspetta da noi» e «quali sono le sue attese riguardo al diaconato in Diocesi». Un’altra domanda riguardava invece la Nota di Scola sulla Comunità educante: il rettore ha voluto sapere come questo ambito sia applicabile ai diaconi e come possano entrare in questa prospettiva.
«Non vi dico le mie attese personali», ha risposto l’Arcivescovo, «ma ciò che corrisponde alle necessità oggettive della Chiesa». E citato l’Evagelii Gaudium di papa Francesco ha ricordato il «piacere spirituale di essere popolo». È questo – ha spiegato – l’orizzonte del diacono, quello «di essere pienamente inserito nel popolo di Dio».
Scola ha poi ripreso l’immagine di Gesù come «centro affettivo della vita, capace di nobilitare tutte le energie della persona». Ha sottolineato l’importanza di «unità tra le intenzioni, le motivazioni profonde e lo stesso agire pastorale». Spesso c’è un «gap», se non addirittura un «abisso» tra «quello che crediamo, pensiamo, celebriamo» e «il nostro agire». Il Cardinale ha quindi raccomandato a tutti i presenti maggiore unità e coerenza. La stessa frammentazione della vita, di cui parla anche nella Nota, non si supera semplicemente componendo le tessere come in un puzzle, ma «cercando il centro di attrazione» che è appunto Gesù Cristo. «È questo che gli adulti devono sperimentare per poi aiutare i ragazzi e i giovani ad arrivare allo stesso obiettivo».
All’intervento di Scola sono seguite numerose domande da parte dei presenti. Gli è anche stato chiesto se «ci crede al diaconato» e la risposta è stata assolutamente affermativa.
L’Arcivescovo ha chiarito, come già lo scorso anno, «che non si tratta di formare dei diaconi che siano chierichetti, ma persone in grado di svolgere nella totalità i compiti che il Concilio Vaticano II e altri testi successivi definiscono in tre ambirti: liturgia, catechesi e carità». E ha aggiunto: «Dobbiamo formare un diacono che sia messo in condizione di svolgere questo ministero fino in fondo nella sua totalità».
Il cardinale Scola, infine, ha invitato i diaconi a far conoscere le loro esperienze anche attraverso le nuove tecnologie di comunicazione e tecnologie, anche perché la stessa riflessione sul diaconato «nasce anzitutto dall’esperienza che si vive nell’esercizio del ministero».