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Milano

Scola in Duomo per la “Nivola”:
«Un Rito che deve attraversare il cuore e la mente»

Presiedendo la Celebrazione dei Vesperi primi nella Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, l’Arcivescovo ha compiuto il “Rito della Nivola” portando sull’altare maggiore del Duomo la preziosa reliquia del Santo Chiodo che rimarrà esposta alla devozione dei fedeli fino a lunedì pomeriggio

di Annamaria BRACCINI

1 Settembre 2016
Durante il Triduo del Santo Chiodo il cardinale Angelo Scola presiede il Rito della Nivola

Il crocifisso che dà un significato al dolore e, quindi, alla vita intera, così che «anche le morti più tragiche e terribili, le più ingiuste, espressione di un male apparentemente ingiustificabile, possono trovare nel crocifisso un senso». E, da qui, anche per noi, oggi, l’urgenza di porsi ai piedi della croce con l’atteggiamento che fu di Maria, delle donne e di Giovanni. 
Nei primi Vespri della Festa Liturgica della Santa Croce, è il cardinale Scola a definire il rilievo profondamente cristiano e umano del gesto di devozione, particolarmente sentito dagli ambrosiani, con cui si contempla, appunto la croce. Quella che, posta sull’altare maggiore del Duomo, contiene, per l’occasione, il Santo Chiodo, reliquia preziosa della Passione che la tradizione vuole già venerata ai tempi di sant’Ambrogio e che veglia, da secoli, all’interno della Cattedrale, essendo normalmente conservata alla sommità della volta del presbiterio. 

Molti i fedeli in Cattedrale, tra cui gli oltre 220 membri di una trentina di Confraternite del Santissimo Sacramento e mariane, giunti per il loro Giubileo. 
Come ogni anno, l’Arcivescovo, sulla Nivola, sale fino a quarantadue metri di altezza e ridiscende portando tra le mani la croce lignea dorata e il Santo Chiodo che, sull’altare, rimarrà esposto alla venerazione fino alla Celebrazione eucaristica di lunedì prossimo. 

Si ripete così, dai tempi di san Carlo, il Rito della Nivola (“Nuvola” in dialetto), dal nome di quella

sorta di “ascensore” appunto a forma di nuvola, ornato dalle pitture del Landriani risalenti al 1612, un tempo azionato a mano da argani e carrucole, il cui progetto, si dice, sia di Leonardo da Vinci. La Nivola sale e ridiscende nel silenzio, mentre vengono letti i brani della Passione secondo Giovanni. 

Con la croce, il Rito, nota subito l’Arcivescovo, rivela il suo «immediato e profondo significato che chiama in causa ora la nostra libertà perché domanda alla nostra fede di riconoscere in questo antico rito e in questa importante reliquia un atto di adorazione cosciente che scaturisca dal cuore e attraversi la mente e ripeta – con la tradizione della Chiesa -, “Mio Signore e mio Dio”». 
Il riferimento è alla Passione, quando Giovanni ci informa che presso la croce c’era, quella che Scola definisce, «una costellazione di Marie». «Anche noi – scandisce – dobbiamo stare intorno a questo sacro segno con la stessa posizione di Maria e delle altre donne». Una posizione che la tradizione cristiana, per quanto riguarda Maria Santissima appunto, indica in due modi: quello dello “stabat” – lo stare dritta in piedi di fronte alla grande prova -, e quella dipinta, soprattutto dal barocco in avanti, del venire meno. «Atteggiamenti entrambi espressivi del più umano dei dolori, la perdita di un caro e, in questo caso così caro a tutti noi, Gesù». 
Per questo «il chiodo non è un oggetto, ma deve far passare la figura stessa del crocifisso. Così anche le morti che sono intorno a noi, le più tragiche e terribili, le più ingiuste, espressione di un male ingiustificabile possono trovare nel crocifisso, morto in nostro favore, un senso». Quella ragione che ci apre anche alla misericordia e all’accoglienza reciproca, così come fu per la Madonna affidata da Cristo morente al discepolo Giovanni che subito la accolse con sé. 
«Anche noi siamo invitati a fare spazio nel nostro cuore, secondo la dimensione dell’affetto di maternità e di figliolanza, a quanti restano con noi per il tragitto che ci rimane». 
Si chiarisce così «il senso radicale, profondo della Misericordia – non fermiamoci solo alle necessarissime opere vivendole esteriormente -, ma andiamo alla radice che è in questo dono che Gesù fa alla madre in Giovanni e quest’ultimo accogliendo Maria. Si spalanca, così, la strada dell’accoglienza, una delle dimensioni più feconde e potenti della vita cristiana, delle più costruttive, più capaci di edificare, con le debite distinzioni, anche amicizia civica. Anche a noi è chiesta questa attitudine di accoglienza. Venerando il Sacro chiodo ci avviciniamo a Gesù e imitiamo Maria e Giovanni». 
E a conclusione dei Primi Vespri,il Cardinale richiama l’inizio dell’Anno Pastorale, con le indicazioni pratiche contenute nel suo scritto “Maria, speranza e aurora di salvezza del mondo intero”. Un’attenzione particolare anche alla Visita Pastorale, alla cui fine, in quaresima, proprio il Santo Chiodo verrà portato in processione nelle sette Zone Pastorali della Diocesi. E tutto per una maggiore consapevolezza e comprensione dell'”educarsi al pensiero di Cristo”.

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