«La nascita di Gesù, frutto che continua a generare frutti», fonte della pace che crea l’unità tra le genti.
Nella notte di Natale, in un Duomo gelido e gremito di migliaia fedeli, il Cardinale presiede la Messa, preceduta dalla Veglia di preghiera, che attraverso i Salmi, la Lettura dal profeta Isaia, e la tradizionale, ambrosianissima, “Esposizione del Vangelo secondo Luca” di sant’Ambrogio, porta, mentre scocca la mezzanotte, alla Celebrazione eucaristica. L’Arcivescovo – concelebrano l’Eucaristia i Canonici del Capitolo metropolitano e alcuni stretti collaboratori dello stesso Cardinale – tiene tra le mani la raffigurazione lignea del Dio Bambino che depone nella “culla”, posta ai pedi dell’altare maggiore della Cattedrale. Tutto indica “la luce che splende oggi su noi, poiché per noi è nato il Signore”, come dice il canto. Ancora, l’ascolto della Kalenda natalizia, delle Letture e dello splendido Prologo dal Vangelo di Giovanni, sono via per comprendere «la sconvolgente e permanente novità del cristianesimo, Dio, che è Dio, che viene da noi, in mezzo a noi, come uno di noi», per usare le parole del Cardinale.
Ecco l’avvenimento per il quale «l’impossibile diventa possibile», l’evento che attraversa i secoli, l’incontro che oltre duemila anni fa mosse i pastori e che oggi «continua a muovere uomini e donne del Terzo millennio».
È il Verbo di Dio che si è fatto carne, «fiore germinato» nell’umiltà, che accetta di essere chiuso nel seno di una donna, e che, innocente per eccellenza, salirà sulla croce. «Siamo, allora, invitati ad assimilare la grande lezione del Natale: l’umiltà. Se – sottolinea l’Arcivescovo – si sta aderenti alla terra, come indicava san Carlo con il suo motto borromaico “Humilitas”, si fa spazio a tutti, si lascia essere l’altro come altro, amando il suo volto diverso dal nostro». Tutti, uomini e donne, con quell’annotazione preziosa, che il Cardinale declina “al femminile”. «Guardando all’umiltà della Vergine le donne possono trovare la strada per superare, in forma adeguata ai nostri tempi, ogni discriminazione troppo a lungo subita e per attuare la giusta uguaglianza». Dunque, da un “nato da donna”, come tutti noi, nasce anche il “dono di grazia e di verità”, che fonda l’unità tra le genti e la pace. Pace che è sempre possibile – lo ripete due volte –, unità di cui abbiamo tanta necessità, nelle prove di questo nostro travagliato tempo di fatica. Da qui l’auspicio: «Essere e vivere come figli di Dio, capaci di condividere ogni sofferenza ed ogni pena. Tra tutte le gravi prove cui troppi oggi sono sottoposti, non possiamo tacere, in questa notte di tenerezza, i molti cristiani perseguitati in tanti Paesi, fino al martirio di sangue».
Eppure nel Figlio, possiamo riconoscere il nostro essere figli di un unico Padre, fratelli nell’unica famiglia umana: «Il Dio bambino è la luce delle genti perché illumina il cammino di ciascuno di noi, quello personale e quello comunitario, in tutti gli ambiti dell’umana esistenza: in famiglia, nel quartiere, nella nostra città e regione, in tutto il Paese e nel mondo intero. Ovunque è l’uomo, là la luce del Dio bambino è giù arrivata, così da essere preceduti e sempre attesi dal Signore incarnato, venuto per la croce e per la risurrezione».
Poi l’augurio in diverse lingue, proprio a indicare che “il campo è il mondo” e non esistono frontiere, ma solo vie da percorrere insieme, con lo stile “sobrio, giusto e pio”, di Gesù e Maria.
E, alla fine della Celebrazione, c’è ancora un breve momento per ricordare il dovere dell’ospitalità, in questo tempo di festa che, per i più fragili e bisognosi, è solo, spesso, tempo di solitudine e di rinnovata sofferenza. «Aprendo le porte della nostra casa, ci apriremo alla fiducia nei confronti degli altri, dando forza alla comunità civile e corpo alle nostre comunità ecclesiali», conclude il Cardinale, «faremo spazio al Dio bambino, radice della speranza affidabile. Gettiamo ai piedi del Bambino le prove che pesano sul nostro cuore. Non angustiatevi, perché Dio è vicino».
Scola: «Occorre un nuovo ordine mondiale basato su sobrietà, giustizia e pietà»
Presiedendo il Pontificale del giorno di Natale, l’Arcivescovo ha sottolineato il momento di crisi attuale e la possibilità di uscirne.«Solo insieme e con solidarietà», ha detto.
Guardiamo al futuro non con paura e rabbia, ma con la fiducia che viene dalla nascita di Gesù che si fa rinascita per noi .
E proprio “sul modo di vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà”, come scrive Paolo a Tito, si sofferma il Cardinale nel Pontificale, presieduto sempre in Cattedrale, la mattina di Natale. «La nascita di Gesù deve divenire una ri-nascita», secondo nuovi stili di vita. «Sobrietà significa equilibrio rispettoso del bene di tutti e una distaccata magnanimità nell’uso dei beni, il cui utilizzo ha come destinazione tutta la popolazione del mondo. Giustizia domanda valorizzazione della dignità, equità, eguaglianza autentica, solidarietà a livello personale, sociale e, in modo particolare, politico, in chi ha il compito di guidare le istituzioni; pietà vuol dire non dimenticarsi del rapporto con Dio dentro il nostro quotidiano, rapporto che da secoli, nelle nostre terre, ha creato un costume che non deve andare perduto e che dobbiamo custodire. Il costume del prendersi cura della vita e della morte, del bisogno dei piccoli, degli anziani e dei più emarginati».
Un rispetto per la vita da preservare sempre che si fa insegnamento per l’uomo di oggi, spesso incantato dalla ricerca scientifica con i suoi progressi e regressi, pare suggerire l’Arcivescovo, quando osserva: «La vita, ogni vita, è sempre un bene ed è degna di essere vissuta dal concepimento fino al suo termine naturale».
E il pensiero va, allora, a quella che definisce «l’improcrastinabile urgenza di un nuovo ordine mondiale, come da anni la Dottrina sociale della Chiesa domanda» e che può essere affrontato, appunto, solo attraverso atteggiamenti di sobrietà, giustizia e pietà, a partire dalla persona e attraverso i corpi intermedi, incominciando dalla famiglia e dalla comunità parrocchiale, dalla società
«L’anno che è alle porte si annuncia difficile. Il travaglio che accompagna l’ingresso nel Terzo millennio si manifesta dolorosamente nella crisi economico-finanziaria che continua a pesare su molte donne e molti uomini, soprattutto sui bambini – sono troppi che ancora nel mondo non hanno il minimo necessario per superare la fame, nota con dolore – sui giovani e le famiglie. L’umiltà del Dio che si fa uomo in questo santo Natale ci indica la modalità con cui affrontare questa assai delicata fase di passaggio. Non con paura e rabbia, comprensibili quando non hai più un terreno solido su cui poggiare i piedi, ma, alla fine, impotenti a generare futuro. Serve condivisione, ospitalità, amicizia civica, fattori che generano la solidarietà necessaria per uscire insieme – ripete con forza il Cardinale – da questa prova».