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Valceresio

Scola: «Dite un sì della fede personale
e convinto»

Il Cardinale ha presieduto l’Eucaristia nella chiesa di Sant’Antonio Abate a Cuasso al Piano. Tanta la gente presente, anche di Cuasso al Monte e di Brusimpiano. «Il vostro è un apporto prezioso per la rinascita dell’Italia», ha detto l’Arcivescovo

di Annamaria BRACCINI

19 Giugno 2016

È un’intera comunità, con i sindaci, le autorità militari, la banda, gli Alpini, i nonni e i nipotini, rigorosamente con la maglietta dell’oratorio feriale 2016, quella che, ai confini geografici della Diocesi, fa festa per l’arrivo del cardinale Scola. Salutato fin dalla strada che conduce alla parrocchia di Sant’Antonio Abate di Cuasso al Piano da striscioni di benvenuto. Sono quattro, infatti, le parrocchie – le tre di Cuasso (al Monte e al Piano, appunto) e quella di Brusimpiano – che, «con una sola voce», come dice il parroco, don Nicolò Vittorio Casoni, accolgono il Cardinale.

«Questa visita dice la cura del Vescovo anche per noi che non siamo una periferia esistenziale, ma fisica. Qui la questione della migrazione non è molto sentita, ma sappiamo cosa vuol dire essere frontalieri e le chiediamo di sentirci sempre, per quanto propaggine, una propaggine viva dell’unica vigna che è la nostra Chiesa ambrosiana», dice ancora don Casoni all’inizio della Messa, concelebrata da alcuni sacerdoti del Decanato Valceresio, nella chiesa gremita fino alla piccola e deliziosa piazza del sagrato.

«Sento una grande gioia nell’essere tra voi per il gesto più importante che un uomo possa compiere: la partecipazione, attraverso l’Eucaristia, alla grande opera che salva il mondo e la storia», risponde l’Arcivescovo, colpito dai Dodici Kyrie cantati, come avviene nelle solennità ambrosiane, all’inizio dell’Eucaristia. Il pensiero come in un ideale ponte ininterrotto, dalla piccola chiesa di Cuasso, quasi la confine svizzero, va al Duomo di Milano: «Mi è venuta nel cuore una grande commozione nel vedere l’unità della nostra Diocesi e che in queste quattro parrocchie si viva, attraverso la liturgia, la stessa identità cristiana di tutta la nostra Chiesa. Per questo voglio dire la mia gratitudine».

Poi, il riferimento è subito alle Letture «con cui è il Signore che ci parla».

«Quando ci lasciamo convocare nell’assemblea da Cristo, Dio ci è familiare, vicino, ci soccorre, ci usa misericordia. Non è un’astrazione, Dio non è un’idea, è presente in mezzo a noi, per il tramite di Cristo». Tanto che «la familiarità di Dio con Abramo – descritta dal brano di Genesi 18, appena proclamato – è la stessa che Egli ha con ciascuno di noi. Non dimentichiamolo».

Da qui la domanda che Scola pone ai fedeli: «Dio è presente nella nostra vita, ce ne ricordiamo almeno una volta al giorno? Almeno la mattina, quando facciamo lo splendido gesto del segno della croce o dicendo un’Ave Maria a sera?».

Se il celebre dialogo tra Dio e Abramo presso la Querce di Mamre, esprime a pieno tale vicinanza, l’Epistola ai Romani ribadisce l’idea di giustizia che – come sottolinea l’Arcivescovo – ci fa «tutti eredi in virtù della fede».

«Anche noi dobbiamo essere giusti che è un modo per dare bellezza alla nostra Chiesa e alla società civile. In un mondo dalle diverse visioni e concezioni sulla vita e sulla morte, vivere la fede è praticare la giustizia vera». Per questo occorre sperimentarla nel quotidiano della famiglia e del lavoro, cercando, nelle circostanze felici o avverse e nei rapporti facili o difficili, di costruire rapporti autentici».

Il richiamo è anche alla pagina del Vangelo di Luca 13 «che presenta, a prima vista, un passo molto duro e che, tuttavia, non significa che non vi sia salvezza possibile a tutti».

«Possiamo, in qualsiasi momento, essere salvati dall’abbraccio misericordioso di Cristo, ma c’è un “si” – il sì della fede – da dire ogni giorno personalmente e in ogni ambiente: nel modo in cui si fa famiglia, si lavora, si spera, si porta il dolore, si condivide il bisogno e ci si accorge di chi è nella miseria».

Insomma, saper dire “sì” in modo più convinto: questo l’augurio che il Cardinale lascia alla gente «per ripensare la fede, perché il vostro apporto è molto prezioso e la rinascita dell’Italia viene più da voi che dalla grande metropoli».

Infine, prima della festa che nasce spontanea ancora sul sagrato, tra la musica della banda civica e tante fotografie, un’ultima raccomandazione. «Viviamo in un mondo dove vi sono nuove definizioni di famiglia, ma noi abbiamo incontrato la visione che Gesù ci ha proposto: un’unione stabile e aperta alla vita tra l’uomo e la donna. Dobbiamo aiutare i nostri giovani a portarsi a questa disposizione. Troppo spesso, invece, rischiamo di farci prendere dal ritmo della vita e di scavare un fossato tra Dio e l’esistenza, ragionando come il mondo ci dice di fare. Occorre che, già in famiglia, la fede intervenga per sostenerci nel giudicare. Sarebbe bello che nascesse l’abitudine di incontrasi tra famiglie, ascoltandosi gli uni gli altri a partire da problemi concrete. Questo è il tempo della convinzione: dobbiamo far vedere la bellezza e la convenienza di questo tipo di esistenza. Date il vostro contributo per la costruzione della vita buona. Ai ragazzi voglio dire che è molto importante prepararsi bene al proprio stato di vita, alla vocazione. Tutti dicono di sapere cosa voglia dire amare e non ci si dispone ad impararlo. Se uno di voi sente dentro di sé l’inclinazione di dedicarsi al Signore, deve capire, anzitutto, cosa significhi: poi si vedrà. Invito i genitori e i nonni a essere molto attenti a questo aspetto».