«Con grande gioia l’accogliamo come Pastore e maestro della Chiesa di Milano, la sua presenza diventa chiamata a essere comunità cristiana unita nella pluriformità, a servizio dell’annuncio del Vangelo».
Il cardinale Scola viene accolto nel cuore di Gallarate, dall’affetto della Comunità pastorale San Cristoforo che riunisce quattro parrocchie e dalle parole del responsabile, monsignor Ivano Valagussa che è anche decano del Decanato Gallarate.
Nel giorno in cui si celebra la Festa della Santa Famiglia il pensiero di saluto iniziale del prevosto Valagussa è per tutte le famiglie «anche quelle in crisi e in gravi difficoltà, perché riscoprano il Vangelo delle relazioni familiari e perché, vivendole nella fiducia al Signore, possano essere protagoniste dell’evangelizzazione nel mondo di oggi».
Nella grande basilica dalle linee ottocentesche dedicata a Santa Maria Assunta, dove l’Arcivescovo presiede la Celebrazione eucaristica concelebrata da dodici presbiteri, ci sono molte centinaia di fedeli – tanta la gente in piedi anche in fondo alla chiesa –, gli anziani delle due Case di riposo della città, “Bellora” e “Il Melo”, i bambini e i ragazzi, gli adolescenti e i gruppi Scouts, il sindaco Edoardo Guenzani, autorità civili e militari.
E proprio dal «grande avvenimento dell’azione eucaristica» prende avvio la riflessione omiletica. «Partecipare a questo gesto dà senso compiuto alle relazioni della nostra vita, con Dio, con gli altri e con noi stessi».
Non a caso, “Custodire le relazioni” è il tema scelto per la Giornata della Famiglia. Lo richiama il Cardinale in collegamento al complesso delle quattro Giornate di riflessione che attraverso anche la Giornata per la Vita, della Solidarietà, e quella Mondiale dedicata al Malato, propongono l’approfondimento di cammini di comunione.
«Prendendo parte all’Eucaristia, ogni domenica cerchiamo di ritrovare il “perché” e il “per Chi” viviamo, la domanda profonda del perché ogni mattina si riprende con energia il lavoro, il compito educativo, si affrontano le prova della malattia e del dolore, si sta dentro le contraddizioni gravi che investono profondamente l’Europa e che ci stanno, forse, stanando da quell’accomodamento in cui ci eravamo adagiati».
In riferimento a un passo della Lettera agli Ebrei – “Poiché i figli hanno in comune il sangue e la carne, anche Cristo allo stesso modo ne è divenuto partecipe” –, il Cardinale definisce il suo pensiero. «La nostra identità è essere figli del Padre che è nei cieli, e Gesù è Figlio e fratello nostro. Per rispondere alla domanda fondante del “per Chi”, occorre capire che siamo figli del Padre nel Figlio».
A fronte di una fede da noi «spesso ridotta a qualcosa di religiosamente corretto, a una sorta di “buonismo” per andare d’accordo», si deve – nota Scola – essere consapevoli che «il cristianesimo muove la nostra libertà, stana dalla pigrizia, spinge a confrontarsi su come si affrontano i problemi anche quando questi sono dolorosi o scomodi».
Insomma, la certezza di essere figli dello stesso Padre, indica la strada maestra della relazione a partire dal legame primario: quello con i genitori di cui il Vangelo nella pagina di Luca, in cui si narra l’angoscia di Maria e Giuseppe per aver smarrito Gesù, è immagine perfetta e umanissima. «Pensiamo alle tante tragedie dei figli che scompaiono anche oggi nel nostro Paese», dice il Cardinale con una venatura di sofferenza nella voce, «ma pensiamo anche alla figliolanza divina e radicale cui si richiama il Signore. L’affidare quotidiano a Dio i nostri figlioli, questo prendersi cura che non considera i figli delle proprietà, che custodisce le relazioni in modo che il figlio sia inserito in una trama di rapporto buono in cui lentamente il ragazzo può iniziare a comprendere le fatiche della crescita, le ferite, le prove che arrivano, negli affetti e nella famiglia» significa custodire, appunto le relazioni, suggerisce l’Arcivescovo.
«Dobbiamo vivere i rapporti naturali, mantenendoli nel rapporto con il Padre che è nei cieli, attraverso gesti semplici, quotidiani, iniziando la giornata con il segno di croce,dicendo una preghiera e una decina di Rosario, invitando i vicini di casa per scambiare idee, visitando i bisognosi». Dunque, «prendere l’iniziativa, giocandosi in prima persona, che ci permette di crescere e di comprendere la grande domanda sul perché viviamo». E tutto «per ritrovare, con energia, una capacità di iniziativa nei nostri rapporti primari, per comunicare la bellezza di vivere l’amore umano nella prospettiva che Gesù ci ha insegnato e che oggi la famiglia di Nazareth ci indica». Questo l’augurio e la responsabilità che l’Arcivescovo lascia al Decanato “Gallarate” e alla Comunità.
E prima del saluto affettuoso della gente – il Cardinale visita, dopo la Celebrazione, anche le claustrali Benedettine del vicino monastero e si trattiene a pranzo con i cinquantacinque sacerdoti del Decanato – ancora una sottolineatura. «Tra voi ho visto una realtà veramente dinamica, espressiva della bellezza della verità e della bontà attraverso cui la Chiesa cerca di rendere presente Cristo come contemporaneo all’uomo di ogni tempo e dunque anche all’uomo di questo tempo. La pluralità di opere e di associazioni, descrive una vitalità su cui procedere e, possibilmente, crescere. Tuttavia, una Comunità che non può essere solo una somma di attività. C’è qualcosa che viene prima: la fede e la capacità di comunione perché abbiamo in comune Cristo Raccomando che ci si giochi con il Signore e, perché questo sia possibile, dobbiamo farlo insieme».
Da qui l’invito «alla conversione e al cambiamento» in questo tempi, a loro volta, di grande cambiamento e di difficoltà di dialogo tra soggetti diversi. Le barbare violenze di questi giorni e le persecuzione meno note dei cristiani in tante parti del mondo «ci deve muovere. Occorre affrontare il quotidiano con la preghiera semplice, nella vita di tutti i giorni, con la cura delle relazioni, dell’accoglienza, soprattutto verso le famiglie dei più bisognosi, educandosi all’amore».