«L’aggravarsi del terrorismo islamista e il peso che va assumendo, anche per l’Europa, non cambiano il carattere strutturale del “meticciato di culture e di civiltà” che le migrazioni presentano. L’attuale e imponente fenomeno migratorio presenta certi aspetti di emergenza, ma è già – e lo sarà sempre più – un fenomeno strutturale. Inoltre il terrorismo non potrà essere battuto senza un processo integrativo che domanda ricerca e promozione di “senso”, impossibile senza un intenso risveglio dell’Europa». Dalla Basilica di Sant’Ambrogio il cardinale Scola, parlando di misericordia e giustizia nel tradizionale Discorso alla città, ha rilanciato l’urgenza di affrontare il fenomeno delle migrazioni con lucidità e intelligenza.
Soprattutto comprendendo i tempi che si aprono proprio attraverso l’integrazione di persone che fanno nuova la nostra identità, grazie a una sintesi continua, senza muri o chiusure ideologiche, come la stessa storia di Milano insegna. «L’autorità costituita – ha sottolineato il Cardinale – dovrà essere particolarmente attenta, in proposito, a salvaguardare la pregnanza della capacità della società civile di sviluppare la propria identità e la propria storia, in altri termini la sua capacità di “tradizione innovativa” in quanto fattore dinamico di edificazione di civiltà».
«È fuori dubbio – ha continuato Scola – che il fenomeno migratorio, visto in tutti i suoi aspetti anche negativi, ha bisogno, come da tempo chiede l’insegnamento sociale della Chiesa, di un nuovo ordine mondiale». Anche perché il fenomeno si continua ad alimentare tragicamente provocato da gravi ingiustizie, da guerre, persecuzioni e fame, anche per ingenti interessi economici. Ha denunciato infatti l’Arcivescovo: «Non basta focalizzarsi sulle disumane, inaccettabili condizioni del viaggio dei migranti. Si deve guardare bene in faccia a un dato: queste persone sono costrette a sostenere simili fatiche per ragioni di assoluta necessità, come la difesa della vita, della libertà o la determinazione a lasciarsi alle spalle la fame e la miseria».
Davanti alle autorità civili, militari e religiose di Milano e della Diocesi, Scola ha riflettuto di misericordia e giustizia nell’edificazione di una società plurale alla vigilia dell’apertura del Giubileo e in un contesto internazionale segnato dai lutti provocati da azioni terroristiche. Eppure non può vincere l’odio e la vendetta. «Talora percepiamo, sia a livello personale, sia a livello sociale – ha sottolineato il Cardinale – la tensione tra giustizia e misericordia, che si fa forte di fronte all’esperienza del male, alla necessità di espiare la pena per riparare al danno inferto e alla pratica del perdono. Vi sono inoltre delitti efferati, come i terribili casi di terrorismo, in cui sembra non esserci alcuna possibilità di riparare. Il male, in questo caso, appare come assolutamente irrimediabile. Giustizia e misericordia sarebbero in tal modo in conflitto. E tuttavia dalla correlazione di questi due fattori deriva una serie di conseguenze che incidono in termini decisivi sulla qualità della vita dei singoli e della società civile».
Per la vita buona della società occorre «stabilire un ordine di giustizia e aderirvi, cosa in sé assolutamente necessaria; significa allora che, sulla scena pubblica, il rendere giustizia può essere giustificato solo se genera una crescita per tutta la famiglia umana, che non può limitarsi al benessere materiale e neppure all’ordine pubblico».
Tutto questo richiede un di più di dialogo e confronto tra posizioni diverse, in una società frammentata e plurale. «Se la giustizia ha a che fare con la costruzione di vita buona nella società – ha detto Scola – si deve riconoscere che, in un contesto sociale plurale come il nostro, è assai difficile reperire un insieme di valori pacificamente condiviso. Questo non significa che non sia possibile una “società giusta”, significa che la strada per realizzarla è più complessa. Occorrerà partire dal bene pratico dell’essere insieme come terreno base per una costante, tenace reciproca narrazione in vista di un comune riconoscimento».
Eppure, nel dibattito pubblico democratico prevale la logica delle rivendicazioni di diritti soggettivi, che la politica fatica a governare, ma che deve invece riuscire ad affrontare guardando al bene comune. «A nessuno può sfuggire che le rivendicazioni di diritti, di libertà e di risorse da parte dei diversi attori sociali oggi non sono affatto univoche – ha affermato l’Arcivescovo -. Le istituzioni sociali e politiche se ne trovano di fronte di assai disparate e spesso in contrasto tra di loro. Come si tenta di rispondere a questo stato di cose? Riducendo sempre più le politiche a mera richiesta di diritti: la nostra società sta progressivamente passando da un sistema uniforme di diritti e doveri a un insieme di “pretese” individuali giuridicamente riconosciute e tutelate. Paradossalmente pretese che sono presentate come “doveri di giustizia”, invece di sostenere la persona nelle sue relazioni costitutive (come richiederebbe la giustizia) tendono a rinchiuderla nello stretto cerchio della sua individualità. La vita sociale rischia così di ridursi ad una sorta di joint venture tra individui». La misericordia «possiede affinità con la giustizia in quanto entrambe hanno come orizzonte le buone relazioni tra gli uomini».
In una realtà di sofferenza spesso si fa appello al perdono. Ma cosa vuol dire? Ha risposto il Cardinale: «Una corretta visione del perdono permette di meglio cogliere il rapporto che intercorre tra la misericordia di Dio e la sua giustizia nei confronti dell’uomo. Cos’è infatti il perdono di Dio manifestato in Gesù? Non è il far finta di nulla, il non vedere il male, il lasciar correre, il ritenere che non sia successo nulla, ma piuttosto il salvare mediante la forza dell’amore avendo chiara la coscienza del male e della sua forza distruttiva. Chi perdona vede bene la gravità del male subito e non lo sottovaluta in alcun modo: piuttosto non cessa di amare chi lo ha commesso; cerca di imparare da Gesù che pur essendo stato ferito dalla colpa dell’altro coltiva il desiderio di vederlo riscattato attraverso la contrizione, sostiene con gioia il suo impegno di conversione».
Ambito primario per vivere il perdono è proprio la famiglia: «Una prassi effettiva di misericordia e giustizia è esigita oggi, anzitutto, dalla sempre più acuta urgenza educativa. La famiglia è l’ambito primario e insostituibile dove si impara sia il principio di gratuità (misericordia), sia il principio di giustizia, attraverso le relazioni costitutive di sposi, genitori, sorelle e fratelli, nonni, parenti, amici, vicini…».
La democrazia italiana deve molto all’influsso che il «cristianesimo ha esercitato sul sistema delle leggi che ci viene offerto dall’ordinamento costituzionale italiano. Il principio personalista, su cui è improntata la nostra Costituzione, considera l’uomo nelle sue relazioni costitutive, in seno alla famiglia e alla società. Il punto di partenza non è l’individuo isolato, né una visione contrattualistica delle sue azioni, ma la persona nella sua strutturale apertura all’altro come parte dello stesso corpo sociale, dotata ab origine di diritti, ma anche di doveri, da vedere sempre in connessione con le leggi. A questa visione non è estraneo il riferimento ideale alla dottrina biblica dell’imago Dei, su cui poggia la dignità di ogni persona umana, rendendola un bene indisponibile e assoluto». Una traduzione significativa sono «il cosiddetto principio di ragionevolezza e proporzionalità della pena rispetto al reato» e «il principio rieducativo della pena».
Scola ha sollecitato l’impegno concreto dei cristiani nel mondo, a maggior ragione in una stagione come quella che stiamo vivendo: «Sia come fedeli, sia come cittadini della metropoli milanese, non possiamo esimerci dall’essere testimoni, dall’autoesporci, soprattutto in questi tempi minacciosi, affinché queste due dimensioni fioriscano attraverso le virtù teologali di fede, speranza e carità e quelle cardinali di giustizia, prudenza, fortezza e temperanza, generando comunione nella Chiesa e autentica filìa (amicizia) nella società civile».
Un pensiero all’invito del Santo Padre: «Lungi dall’essere un invito moralistico – ha concluso il Cardinale -, quella del Papa è una lettura acuta delle falle che si sono aperte nel nostro mondo globalizzato. In questa realtà, infatti, tutte le periferie si somigliano. Perciò guardare il mondo dal punto di vista degli esclusi conduce a ridurre l’autogiustificazione del sistema che genera tale esclusione. Anche Milano patisce le contraddizioni sociali proprie di questo stato di cose: cito solo l’esclusione dei giovani dalla possibilità di vivere da protagonisti, negli affetti e nel lavoro».