Se una società si giudica e si vede da come tratta i bambini e gli anziani, per usare le parole del cardinale Scola, non c’è dubbio che si potrebbe essere orgogliosi del nostro Paese, se tutte le Case di riposo e cura fossero come gli “Istituti Riuniti Airoldi e Muzzi” di Germanedo-Lecco. Struttura che l’Arcivescovo visita, celebrando l’Eucaristia nella bella chiesa interna al complesso impreziosita da un notevole affresco di Ennio Morlotti. Tra il verde curato, gli edifici funzionali, i fiori e persino aree attrezzate per la cosiddetta ginnastica dolce (pensata appositamente per gli anziani), non sembra proprio di essere in un luogo della sofferenza, anche se sono tante le carrozzine che si incontrano, con persone di età molto avanzata portatrici di gravi patologie degenerative. 350 gli ospiti della struttura che conta 320 unità tra medici, assistenti, personale infermieristico, religiose di “Maria Bambina” e volontari impegnati.
Insomma, una realtà storica, ma anche di eccellenza, Rsa Onlus al passo con i tempi (Istituti Riuniti, perché l’Iram nasce dall’aggregazione di diverse realtà sul territorio), articolata in un Centro Diurno Integrato e Nuclei per l’Alzheimer e gli Stati vegetativi. Così come spiega all’Arcivescovo, il presidente Giuseppe Canali, nel breve incontro iniziale con i vertici della Casa, al termine del quale Scola appone un pensiero sul Libro d’Onore dove spiccano le firme di alcuni suoi predecessori sulla Cattedra di Ambrogio e Carlo, come il cardinale Schuster che consacrò la chiesa nel 1942, in pieno conflitto mondiale.
Presenti il sindaco di Lecco, Virginio Brivio, Mario Romano Negri, presidente della Fondazione Comunitaria del Lecchese, benefattrice dell’Iram, la vicepresidente Rosaria Bonacina e altre autorità, il Cardinale presiede, poco dopo, l’Eucaristia vigiliare, concelebrata dal Prevosto di Lecco, monsignor Franco Cecchin, dal responsabile del Servizio per la Pastorale della Salute, don Paolo Fontana, dal Cappellano, don Gianni Grulli, da quello del vicino ospedale “Manzoni”, don Antonio Della Bella, dal parroco di Germanedo e dall’unico sacerdote ospite della struttura.
«Benvenuto tra noi: qui oggi è tutta la famiglia dell’“Airoldi e Muzzi” che l’accoglie», dice il presidente ricordando la presenza di tanti malati, «dall’ultimo, arrivato ieri, alla degente più anziana di 106 anni». Di «gratitudine per l’invito e ringraziamento soprattutto agli ospiti di questo storico luogo e a quanti ne permettono la conduzione», parla l’Arcivescovo, ricordando che, da giovane anch’egli si recava il sabato alla Casa di Riposo «per cercare di capire cosa volesse dire condividere la prova che gli anziani devono sopportare il momento della fine della vita».
Facendo memoria della nascita formale della Casa, sorta grazie al lascito del notaio Giovanni Antonio Airoldi che, nel 1594, destinò tutti i suoi molti averi «alla fondazione di un ospedale per i poveri da intitolare alla Vergine Maria», il Cardinale aggiunge: «L’uomo è maturo quando accetta la realtà così come si presenta. Siamo invitati a fidarci di Dio. Chi può farlo, allora, meglio di persone, come voi, che godono della lungimiranza di un fondatore che ha voluto lasciare a Maria, la nostra mamma, i suoi beni? Spesso, invece, la società tende a dimenticare l’apporto che, fino all’ultimo giorno terreno, gli anziani possono offrire, trasmettendo la loro testimonianza attraverso le generazioni».
Poi, rivolgendosi direttamente agli ospiti, sottolinea: «Ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano nemmeno lontanamente paragonabili alla gloria futura che ci attende. Quando l’età si fa avanzata, gli acciacchi possono essere fonte di sofferenza e la morte si affaccia, rischiamo, in tante giornate, di farci prendere dalla malinconia, guardando indietro con nostalgia. Ma è proprio in questi momenti che si deve accendere l’oggetto della speranza: il nostro destino di gloria, la risurrezione nella nostra carne, perché non solo l’anima è immortale e risorgeremo nel nostro vero corpo, rigenerati dall’abbraccio amoroso della Trinità. L’Eucaristia è già un anticipo di questa risurrezione».
Se ognuno vuole essere amato per sempre per potere amare – «che lo si sappia o no, questo è il desiderio che tutti abbiamo nel cuore» – è Gesù morto e risorto che ci assicura in tale amore, con il suo Spirito che è su ciascuno di noi.
«Il Signore è paziente ed effonde su noi la sua misericordia. Siamo stati creati per un destino di bellezza che sarà per sempre. Se Dio è con noi, nulla potrà essere contro di noi. Lasciatevi abitare dalla gioia di Cristo, sentite forte l’abbraccio della Misericordia di Dio che ci ama a uno a uno e, nonostante la nostra tentazione per il male, fa emergere sempre il bene. Siate, quindi, lieti nel cuore. Recitate il Rosario, dite un’Ave Maria anche per l’Arcivescovo. Dobbiamo tornare alla preghiera semplice, quella imparata da bambini che, nell’età avanzata, raggiunge più facilmente le vette del cielo».
La pace portata dal Cardinale a ciascuno dei malati, l’intenso momento della Comunione, le espressioni di affetto del Cappellano – «la sua presenza ci illumina e che ci consola, le auguriamo tutto ciò che desidera e le assicuriamo la devozione amorosa dei suoi sacerdoti» –, che concludono la Celebrazione, fanno ancora riflettere l’Arcivescovo anche sul rilievo sociale e civile di una realtà come l’“Airoldi e Muzzi”. «Una realtà che ha una grande storia e deve immettere nel circuito dell’ambrosianità quegli elementi peculiari che hanno caratterizzato la nostra storia, la famiglia, il lavoro, l’educazione dei figli. Perché i nostri figli hanno perduto la strada della chiesa e i giovani quella dell’oratorio? Forse perché non abbiamo passato loro i nostri valori».
L’invito è, allora, a mettersi in gioco: «È illusorio pensare che un popolo possa vivere solo attraverso le realtà statuali senza giocarsi in prima persona. Occorre che richiamiamo questi valori, riformulati nella storia presente, attraverso la richiesta, a chi ne ha responsabilità, di una politica lungimirante. Dobbiamo sentire l’impegno civile, politico e sociale, che non può essere demandato ad altri, come fondamentale. Lo dico da questo luogo perché qui si capisce cosa sia la civiltà, un’amicizia civile in cui si è chiamati a uno stare insieme che deve diventare scelta politica per un bene sociale che sia veramente tale».
Infine, l’intitolazione del bel parco alla Fondazione Comunitaria del Lecchese (la Prima fondazione comunitaria sorta in Italia) sostenitrice dal punto di vista finanziario dell’Iram, con lo scoprimento di un cippo da parte del Cardinale e del presidente Negri.