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Milano

Scola alla Diocesi ortodossa romena d’Italia: «Occorre un nuovo ecumenismo di popolo»

L’Arcivescovo ha incontrato una delegazione di sacerdoti ortodossi romeni, guidata dal vescovo Siluan, che ha poi assistito al Pontificale per la Solennità di San Carlo in Duomo

di Annamaria BRACCINI

4 Novembre 2016

«Un cammino condiviso riflettendo insieme per due giorni, presso il Centro pastorale di Seveso, sulla trasmissione della fede alle giovani generazioni. Relazioni e lavori di gruppo che hanno che consentito un dialogo fecondo». A conclusione del convegno che ha visto riuniti sacerdoti e laici della Diocesi romena d’Italia e gli ambrosiani, la definizione che ne dà il diacono permanente Roberto Pagani, responsabile della Commissione per l’Ecumenismo e il Dialogo, è la sintesi di un confronto felice su questioni che interessano tutti. «I due approcci sullo stesso tema hanno permesso un’ampiezza che di solito non è raggiungibile dalla singola Confessione», nota Pagani, cui è accanto il vicario episcopale, monsignor Luca Bressan.

Quindi non poteva esserci modo migliore per concludere la due-giorni che incontrare il cardinale Scola, rappresentando le 230 parrocchie romene ortodosse in Italia, una Diocesi particolarmente giovane con i suoi 10 mila battesimi registrati ogni anno dal 2010.

Stare insieme nella pratica quotidiana

«Sono convinto che proprio in Europa l’Ecumenismo debba giocare un ruolo trainante rispetto al grande compito dell’annuncio di Cristo ai cittadini del vecchio Continente, stanchi, provati e spesso dimentichi del loro Battesimo – dice l’Arcivescovo, che ha di fronte a lui il vescovo Siluan e una delegazione di oltre venti ministri romeni, alcuni accompagnati dalle mogli e dai bambini piccoli -. In una società plurale come la nostra, rispetto al grande bisogno di senso di vita che per noi è Gesù Cristo, l’unità non è solo auspicabile, ma è imprescindibile. Se non siamo una cosa sola, l’altro non crede. Dobbiamo comunicare un ecumenismo completamente nuovo e diverso. Da parte nostra mettiamo a disposizione strumenti, a partire dalle chiese, ma si tratta realmente di stare insieme dall’interno della pratica quotidiana. Vogliamo essere, nel rispetto delle storie e delle tradizioni di ciascuno, una sola Chiesa. Da parte vostra, l’impegno non è solo quello di esercitare un ministero a favore dei fedeli che vivono qui, ma di concorrere alla proposta unitaria di Cristo».

Insomma, un senso del vivere da proporre alla gente, tanto che il Cardinale sottolinea: «In Europa, come cattolici e ortodossi, abbiamo un ruolo tutto nuovo da svolgere e da immaginare con grandissima creatività. Un ecumenismo di popolo veramente missionario, capace di tornare a parlare al cuore di tutti. È arrivato il tempo, con il fenomeno migratorio che ha interessato anche voi, di un ecumenismo che deve vederci tesi a scelte pratiche, pur senza escludere il necessario lavoro dottrinario degli organismi delle Chiese. Una pluriformità nell’unità che sia ricchezza effettiva e che assuma il carattere di una proposta affascinante. In una società segnata dall’individualismo che sta assumendo il carattere di un autismo spirituale, bisogna cambiare radicalmente, condividendo il bisogno che c’è, ma con uno sguardo nuovo».

Anche perché non vi è più un ecumenismo omogeneo. «Nel mondo cattolico la grande questione di passare la fede alle nuove generazioni si caratterizza attraverso un’articolazione talvolta così esasperata, che il principio di unità sparisce, mentre la vostra dimensione globale di pastorale potrebbe essere di grande aiuto», scandisce Scola rivolgendosi direttamente ai presenti.

Un dialogo non verbale, ma essenziale

Parole subito raccolte dal vescovo Siluan, che si fa testimone dell’interesse reale per un dialogo che, però, «non vuole solo emettere idee, ma è interessato a parlare di una vita comune durata 1000 anni».

«Anche se il secondo millennio della cristianità ci ha separati, oggi siamo di fronte a una sfida immensa. Siamo usciti dal comunismo in qualche modo impreparati, vaccinati dal materialismo dialettico, ideologico, ma non da quello pratico. Siamo una diaspora giovane e sradicata – osserva Siluan portando il dato dell’oltre milione di romeni in Italia e dei 150 mila bimbi che frequentano le scuole del Paese, avendo almeno un genitore romeno -. Constatiamo che, insieme, si può condividere anche la preoccupazione per questo mondo che non sa più dove va. Da cristiani dobbiamo preoccuparci per la salvezza di tutti. Questo mondo secolarizzato è insensibile e questo ci obbliga a rimetterci in causa e in questione, a essere meno discorsivi e a crescere dentro, a far pulizia nell’anima, per eliminare quello che ci impedisce di aprici all’altro. Questo cristianesimo che porta nel cuore il mondo intero, credo, potrebbe essere al fondamento di un altro tipo di rapporto tra i cristiani, costituendo un punto di partenza per dialogare in maniera non verbale, ma essenziale. Dai nostri diversi orizzonti, avvicinarci sempre di più a Cristo: solo questo convince», conclude il Vescovo.

Infine, prima dello scambio dei doni, un’ultima riflessione del Cardinale a una domanda sui matrimoni misti, posta da padre Traian Valdman, a Milano da 40 anni e oggi uno dei due Decani della Chiesa Ortodossa Rumena in Lombardia. «È come se Dio ci obbligasse all’ecumenismo attraverso uno dei fattori costitutivi dell’esperienza umana. In un matrimonio misto l’ecumenismo si pratica in casa, ogni giorno, nel rispetto e nell’educazione dei figli. Anche in questo ambito la famiglia è fondamentale. Dobbiamo stare attenti alla pressione dei mass media, che tende a dire che la famiglia è una realtà superata e in crisi. Non è vero, in crisi è il rapporto tra l’uomo e la donna. La famiglia è il primo soggetto dell’evangelizzazione e le famiglie miste sono espressione di quell’ecumenismo di base di cui l’Europa ha tanto bisogno».

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