«La strada più sicura per comprendere il grande gesto che stiamo compiendo in questa bella chiesa che ha voluto riprodurre, attraverso i suoi elementi architettonici, la lunga sensibilità monastica di questa zona, ci spinge ad andare più a fondo di ciò che la Parola di Dio ci invita a meditare, perché come insegna il Concilio, nella Scrittura è Gesù stesso che ci parla».
Tra il verde brillante di una terra rimasta fino a pochi anni fa, in una completa, aperta campagna ricca di storia, la presenza del cardinale Scola, che presiede la Liturgia della Dedicazione della parrocchiale Maria Vergine Donna Nuova, a Zivido di San Giuliano Milanese, porta gioia e devozione tra i moltissimi fedeli riuniti nella bella chiesa, costruita nel 2008. Le linee rigorose che richiamano edifici circostanti, la luce che filtra dai finestroni aperti su un panorama tipico della Bassa, donano ulteriore armonia all’ariosità dei locali, ma la vera bellezza è la “chiesa di pietre vive” di coloro che sono raccolti intorno al Signore. Il parroco don Franco Donati – che concelebra insieme a una decina di sacerdoti tra cui il vicario di Zona VI, monsignor Cresseri e il neo Decano del Decanato San Donato, don Violoni –, offre il benvenuto parlando proprio di Maria Vergine e donna, quale modello per la vita della Comunità. Una realtà cristiana millenaria, come attestano le cronache e la piccola, non distante chiesa cinquecentesca intitolata anch’essa a Santa Maria.
Da qui prende avvio la riflessione dell’Arcivescovo che fa riferimento anzitutto alla Lettera Paolina agli Efesini con quell’espressione – “Non siete più stranieri, né ospiti”– che «ha grande importanza per noi uomini postmoderni del Terzo millennio quando troppi battezzati, la stragrande maggioranza anche in Lombardia, si considerano oggi meno che ospiti, anzi clienti della Chiesa», osserva il Cardinale. Al contrario, proprio le parole di Paolo – continua –, «ci permettono di capire il gesto storico di oggi, facendo così parte di quella Chiesa che voi già vivete nella comunione. Il cristianesimo, infatti, poggia su una parentela che valorizza e allarga la parentela del sangue a tutti coloro che hanno in comune la pietra d’angolo che è Cristo. Un luogo fisico come questo tempio così bello, prende, dunque, il suo vero valore dalla nostra convocazione, perché non si può capire la bellezza della Dedicazione se non riscopriamo subito, qui e ora, di essere familiari di Dio. Gesù è insieme la vittima, sacerdote e l’altare attorno a cui siamo convocati, così da essere mutati dallo sguardo pieno di amore di Gesù, che cambia anche i rapporti della nostra vita». Il richiamo è al Vangelo di Luca nella parabola di Zaccheo, trasformato per sempre dall’aver voluto vedere quel Signore, che «gioisce con noi per il rinnovarsi dell’essere pietre vive della sua Chiesa».
Un “esserci” ecclesiale che a Zivido deve costruire la testimonianza «in una zona diventata ormai espressione consistente in cui si cerca di realizzare quella vita di comunione intensa in cui molti di voi sono coinvolti». «Occorre documentare ai nostri fratelli la bellezza, la verità e la bontà di seguire Cristo», scandisce Scola. Una preoccupazione costante, questa, per l’Arcivescovo che, appunto, alla valenza culturale della fede e del suo portato, dedicherà la Lettera pastorale 2015-2016.
«La dedicheremo – dice, infatti – proprio al pensiero di Cristo, perché è molto importante aggiungere all’azione caritativa, il modo cristiano di vedere le cose, non per imporlo, ma per poterlo proporre come possibilità di confronto al fine di realizzare un cammino realmente comune di cui abbiamo tutti grande bisogno». E questo «tanto più ora, quando la situazione attuale si sta rivestendo di ombre pesanti e noi europei, pur facendo ancora fatica a renderci conto di ciò che accade, non possiamo più accomodarci in un narcisismo teso solo alla richiesta di diritti».
Insomma, si tratta di indicare con la propria vita, ogni giorno, la bellezza dell’essere alla sequela di Cristo «nella condivisione del dolore, nella difesa della vita dal concepimento alla sua fine naturale, nell’accoglienza equilibrata di chi arriva tra noi, nell’educazione, recuperando slancio per il bene di tutti i nostri fratelli e per quello della città». La Milano che è città di mezzo, la metropoli che magari, ancora, non sa di esserlo a pieno ma che è «necessaria per l’edificazione del nuovo umanesimo e della civiltà del Terzo millennio».
Poi, i gesti propri della Dedicazione – «ognuno di essi ha un suo preciso significato che va compreso», aveva poco prima spiegato il Cardinale – e, alla fine, ancora un richiamo al ruolo di terre come quelle della diversificata cintura periferica, appunto, della metropoli. «Questa zona si presenta come interessante dal punto di vista demografico, infatti, è una delle aree in cui i ragazzi sono più del doppio degli anziani. Ricordiamo sempre che la vita è l’espressione più potente dell’amore».
E, in effetti, il passaggio, in pochi anni, da un borgo di circa settecento persone alle settemila attuali, rende ragione di ciò che Scola definisce la rilevanza «di queste periferie rinnovate in cui Milano ha un punto di grande forza, molto più di quanto ne abbia il centro che, come luogo, spesso, solo di passaggio turistico o di incontro, resta meno capace di costruire legami forti e stabili di cittadinanza e di comunità». Parole a cui annuisce il sindaco, Alessandro Lorenzano, i prima fila con le autorità civili e militari del territorio.
La raccomandazione è per la cura dell’oratorio «che resta uno strumento educativo di primissima forza in cui i laici devono collaborare sapendo che la formazione oratoriana è un prolungamento della famiglia», per la consapevolezza della centralità e «decisività» della famiglia stessa – nel territorio esistono cinque comunità neocatecumenali –; per le molte attività qui animate da laici, dai sacerdoti e dalle suore “Piccole Figlie del Sacro Cuore di Gesù”, presenti alla Celebrazione con la Madre generale Annanaria Draghi, nativa di Zivido. E, ancora, per il futuro delle sette parrocchie di San Giuliano da rendere sempre più coese in un cammino di Comunità, «che aiuta la nostra capacità di uscire verso tutti gli ambienti, altrimenti si rischia che la parrocchia si indebolisca».
Infine, il pensiero non può che andare alla tragedia di queste ore, alla «violenza efferata dell’Is che non può più permetterci di voltare le spalle»; alla morte degli innocenti e alla condizione che il Cardinale ha potuto vedere di persona, recandosi a Erbil, tra «gente come noi – ingegneri, professori, medici, operai – che ha perso tutto in una notte». Di fronte all’accoglienza «ci vuole apertura di cuore e la generosità tipica della nostra Milano, chiedendo ai politici un atteggiamento equilibrato, perché questo è stato, alla lunga, sempre un fattore di crescita».