Arriva sotto un cielo grigio e la pioggia, ma la gente che si raccoglie sul sagrato della parrocchia di Santa Cecilia, lo accoglie con un abbraccio pieno di calore e solare.
È la Milano della periferia, tra palazzi anonimi, ma anche condomini curati, bei giardini e case basse che raccontano di un passato da “borgo” di queste vie, così come si rende evidente nella deliziosa, piccola chiesetta, risalente al XVII secolo, dell’Addolorata alla Colombara in cui si celebra ancora Messa nei giorni feriali e dove il cardinale Scola si inginocchia per una breve adorazione silenziosa, prima di fare il suo ingresso in parrocchia.
È un giorno atteso, perché l’Arcivescovo, presiedendo l’Eucaristia in questa popolosa comunità della zona Certosa appartenente al Decanato Cagnola, conclude, come meglio non si potrebbe, l’Anno giubilare per i cinquant’anni della posa delle prima pietra dell’edificio, avvenuta il 26 settembre 1965. Lo ricorda nel suo saluto iniziale il parroco, don Giuseppe Ceruti – concelebrano anche altri sacerdoti tra cui il Decano, don Carlo Azzimonti – , parlando di grande gioia e di devota gratitudine. Molte le attività culturali, caritative, pastorali proposte lungo i dodici mesi e tutte guidate da due espressioni di san Paolo, “La pietra che è Cristo” e “Santo è il tempio di Dio che siete voi”.
Dalla Benedizione apostolica e dall’augurio del Santo Padre, inviati come risposta alla richiesta della parrocchia proprio per il cinquantesimo, prende avvio la riflessione dell’Arcivescovo. «Le ragioni profonde di questa festa, di questa chiusura dell’anno speciale, sono nell’amore di Dio che ci sorregge e ci raduna».
Il riferimento è alla Parola di Dio attraverso cui, come dice il Concilio Vaticano II, è Gesù stesso che ci parla. Un dato fondamentale eppure spesso dimenticato, nota Scola: «Quante volte ascoltiamo la Parola come una lettura che può provocare intenzioni e prospettive nuove, ma perdiamo di vista il “faccia a faccia” che invece Gesù, per la potenza del suo Spirito, realizza. Rischiamo di non sentire questa Parola direttamente rivolta a noi, mentre oggi essa ci dice un dato sconcertante che spiega in cosa consista la Misericordia di Dio».
Misericordia che «non è un buonismo che tutto cancella o qualcosa di secondario», ma che indica come «pur quando eravamo deboli, peccatori, nemici, l’amore di Dio si è riversato su di noi. Ciò descrive molto bene la nostra normale condizione umana di fragilità, di peccato, di quel grande peccato che è la dimenticanza contemporanea della potenza di Cristo nella nostra vita».
Se la mentalità corrente, infatti, porta a oscurare il peccato, il Crocifisso «ci mette a nudo e guida alla rinascita dell’io», suggerisce l’Arcivescovo che richiama la Festa dell’Esaltazione della Santa Croce che ricorre proprio in queste ore.
E suona, allora, particolarmente attuale, in questo contesto, la lettura del Vangelo con il dialogo tra Gesù e Nicodemo «tutto impostato su una rinascita che ci permette di anticipare, nel tempo presente, la vita eterna».
È il Signore stesso che fa comprendere a Nicodemo – il messaggio non è solo per lui, il pio e saggio ebreo, ma è valido per tutti noi, anche dopo duemila anni – come non basti dare “il buon esempio”, ma occorra mostrare il nostro vero volto, lasciandoci rigenerare, rinascendo dall’alto.
«Se siamo stati convocati, almeno la domenica, per vivere insieme la Passione, la morte e la Risurrezione di Cristo, se siamo Chiesa, dobbiamo imparare con umiltà tale cambiamento che ha una strada precisa». Anzitutto, invocando la venuta dello Spirito dall’alto, affinché si diventi “pietre vive”, segno convincente di vita buona nella comunità cristiana e in quella civile, comprendendo quanto questo sia necessario nella nostra Milano e per l’Europa intera».
Insomma, un lavoro serio che il Cardinale lascia come impegno: «Gesù è autorevole, perché si gioca per intero. Da Lui, testimone vero, scaturisce la nostra testimonianza che è conoscenza adeguata della realtà capace di comunicare la verità. Quanto siamo ancora lontani dal pensiero di Cristo nel quotidiano della nostra vita familiare! Eppure, senza tale mentalità, senza “essere di Cristo”, non potremo essere questa testimonianza e vivere la vita nuova. Sperando contro ogni speranza, sperando in una speranza affidabile, la rigenerazione sia il frutto della partecipazione all’Eucaristia».
Un tema, quello di riflettere sulla scissione tra fede e vita che, d’altra parte, è indicato a tutta la Diocesi attraverso la Lettera pastorale, “Educarsi al pensiero di Cristo” che, non a caso, Scola richiama, in conclusione, prima del lungo applauso con cui i fedeli di Santa Cecilia lo salutano, al termine della Messa.
«Perché – chiede, infatti, l’Arcivescovo – viviamo questo distacco tra la fede e la vita di tutti i giorni?». Chiaro uno dei motivi fondamentali: la famiglia « che non può essere solo oggetto di cura da parte dei preti, ma, al contrario, deve riprendere il suo ruolo di soggetto di evangelizzazione e di azione cristiana. Questo vuol dire che tutti devono sostenersi nell’affrontare i problemi quotidiani, il modo di concepire il lavoro e il riposo, l’educazione dei figli, di affrontare il dolore fisico e morale, di edificare una società giusta». In questo, i nonni, ad esempio, hanno un cruciale compito educativo, «perché possono più facilmente insegnare il senso del limite, della sofferenza e l’importanza della serietà nella vita, avendone una lunga esperienza».