«È come se la nostra chiesa, oggi, fosse la Cattedrale».
Dice così il parroco di “San Fruttuoso” a Monza, don Eligio Ciapparella, accogliendo il cardinale Scola, in giorni particolarmente intensi per la città e la Zona pastorale di cui è capoluogo, la V. In settimana, infatti, si è aperta, con la presenza dello stesso Arcivescovo, la Visita Pastorale feriale per il Decanato “Monza” e domenica 4 dicembre i fedeli della e la “V” sono invitati ad animare la liturgia della Celebrazione della IV Domenica dell’Avvento ambrosiano in Duomo. Invece a “San Fruttuoso”, come dovunque si offici in Rito romano, l’Avvento è appena iniziato, il 27 novembre. Lo ricorda il parroco parlando della sua comunità che, da 3000 abitanti ai tempi del cardinale Schuster, è ora quadruplicata tra luci e difficoltà, ma sempre nella fedeltà al Signore come dimostrano le quattro vocazioni sacerdotali arrivate all’Ordinazione tra al 2002 al 2013 (ora si registra un giovane avviato al cammino nella Vita Consacrata tra i Salesiani e un padre di famiglia che diverrà Diacono permanente).
Tantissimi i fedeli che gremiscono la chiesa dalle belle linee aggraziate dove concelebrano diversi sacerdoti tra cui, oltre a don Ciapparella, il Vicario di Zona, monsignor Patrizio Garascia.
Di gioia parla l’Arcivescovo nella sua omelia. «Gioia per potere celebrare un gesto fondamentale per la vita dei cristiani e dell’uomo, gesto che ci permette di partecipare all’opera più grande dell’umanità: il Dio che si fa bambino».
Consapevole di essersi fatto attendere per tre anni dalla parrocchia – «ormai non ci speravamo più… e invece», confessa don Eligio a margine – il Cardinale richiama subito il senso della Visita pastorale compiuta per il Decanto. Un «gesto normale e feriale», ma che deve, come è nel suo scopo, educarci al pensiero di Cristo.
In questo, come è ovvio, ci sorregge la Celebrazione eucaristica mediante due momenti, anzitutto, la Liturgia della Parola perché «quando la domenica la ascoltiamo è Gesù stesso che ci parla». «La Parola di Dio non è soltanto una Scrittura attraverso cui gli autori antichi hanno voluto trattenere l’esperienza bellissima della Comunità primitiva, non l’approfondimento di un testo, ma è mettersi in rapporto diretto don Cristo, come se fossimo stati presenti agli eventi narrati».
Anche perché, sottolinea Scola, «solo se c’è un rapporto che va dalla nostra esperienza a quella di Gesù possiamo trarre un vero insegnamento».
Il riferimento è al Vangelo di Matteo al capitolo 3, con il battesimo “nell’acqua per la conversione” di Giovanni Battista e quello “in Spirito Santo e fuoco” di Gesù. Battesimi in continuità, specifica il Cardinale, «che generano, appunto, conversione al gusto della bellezza e della profondità della fede, bruciando ogni egoismo. Fonte di quell’amore “per sempre” che, altrimenti può essere passione, ma non vero amore, poiché – come scriveva Shakespeare – “L’amore non è amore se viene meno quando l’altro si allontana”».
Poi, un ulteriore elemento: la conoscenza del Signore, così come ne parla il profeta Isaia nella Lettura appena proclamata. «Prospettiva di paradiso in cui rivedremo in nostri cari e saremo in una condizione permanente di vicinanza con Dio. Per tutto questo occorre lasciarci educare al pensiero e ai sentimenti di Cristo che danno vita a un’azione che può realizzare l’amore vivente offerto da Dio».
Nelle gioie e anche nelle difficoltà della vita quotidiana «tale educazione deve lasciar trasparire, fino in fondo, l’amore che Gesù ci porta e che ci ha convocati qui stasera, gesto che vale di più di un sacrificio e di una fatica».
Da qui, l’auspicio e l’appello ai fedeli: «Accoglietevi gli uni glia altri con un’accoglienza fraterna che deve essere lo stile di vita del cristiano: non una relazione qualsiasi, ma una comunione spalancata a 360° con una conoscenza reciproca come quella del Signore. Nella vostra zona, l’immigrazione e la trasformazione hanno reso Monza un grande punto di riferimento come area metropolitana più generale: dobbiamo abituarci a sentirci così. Abbiamo tutti in comune una serie di fattori che devono costruire equità e giustizia: spalanchiamoci ai vicini, alla famiglia, agli immigrati, pur chiedendo alle Istituzioni una politica equilibrata, senza mai senza perdere lo slancio del “farsi prossimo”». Questo ci lascia oggi, la Parola di Dio, conclude l’Arcivescovo, «accoglierci come cittadini che, tesi al bene comune, non si lasciano bloccare da visioni diverse, ma cercano di costruire vita civile degna».
E, alla fine, prima del saluto calorosissimo dei fedeli, ancora un richiamo ai ragazzi perché comprendano il valore dell’amore vero e perché gli adulti ne siamo di esempio e insegnamento – «senza l’unità profonda dell’io collegata al “tu” è molto difficile crescere» – e la consegna alle famiglie: «diventate attori e attrici dell’amore di Gesù. La famiglia è il modo per comunicare la pienezza di vita. Siate attenti a una Pastorale di insieme che tenga conto della vita del Decanato».