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30 aprile

Scola a Perledo, che guarda al futuro

Celebrazione con l’Arcivescovo nella parrocchia di San Martino. Il parroco don Angelo Viganò presenta l’identità di questo paese lecchese tra i monti e il lago

di Marcello VILLANI

13 Maggio 2017

Perledo è stata per decenni, soprattutto nel secolo scorso, la meta turistica più ambita ed esclusiva della «Milano bene». Una meta fonte d’ispirazione per poeti, scrittori, statisti. Un paese abbarbicato sui monti lecchesi, ma così vicino al lago da far innamorare chiunque lo visiti.

Di quel passato splendore è rimasto l’ex albergo, ora casa di riposo gestita dalla Sacra Famiglia di Cesano Boscone, e la voglia di riscoprirsi turisticamente dei 1050 abitanti di questa località sul Lario. Domenica 30 aprile l’Arcivescovo, cardinale Angelo Scola, farà visita all’Istituto, accolto dal presidente don Marco Bove, per poi trasferirsi nella parrocchia di San Martino dove, alle 10.30, presiederà la Messa.

A guidare la comunità e la parrocchia di San Martino, oltre a quella della Natività della Beata Vergine Maria a Gittana, è don Angelo Viganò, che da quasi due anni ha riportato i sacerdoti diocesani a Perledo: «Prima del mio arrivo da Porlezza, c’erano i Padri Vocazionisti del Sud Italia, fondati dal beato Giustino Russolillo. Era l’unica parrocchia rimasta loro in Diocesi». Don Angelo ricorda il passato glorioso di Perledo: «Basterebbe vedere i quadri e le dediche che si possono leggere alla casa di riposo, che fu un prestigioso albergo a cinque stelle. C’era addirittura una specie di “ascensore” che sfruttava l’acqua per portare su e giù i clienti dal lago fino all’albergo. Da allora è cambiato molto: si è vissuto un periodo di seconde case, che ora non si riempiono più tutte. C’è un movimento di turisti estivo, ma non è più quello di una volta, seppur il paese sia davvero incantevole».

Il lavoro oggi è legato all’industria e all’olivicoltura: «Addirittura un nostro produttore ha vinto un premio internazionale per l’olio, a Boston. Ma, in generale, la nostra comunità è, come tutte, pressata dai problemi legati al lavoro. Ci sono alcune attività che vanno bene: nella piccola zona industriale a mezza costa ci sono tre industrie che fanno serrande e hanno un certo numero di operai. Poi ci sono attività edili di una certa entità. Ma la maggior parte dei miei compaesani deve lasciare il paese per andare a lavorare in quelli vicini, più grandi».

La partecipazione alle attività pastorali è sicuramente buona: «Ci sono gli anziani, ma sono rimaste anche le famiglie di giovani, radicate sul territorio. Sono poche, però, numericamente parlando. Ecco perché, nonostante molte persone frequentino la chiesa, avremo solamente sei bimbi che faranno la prima Comunione e quattro che faranno la Cresima. Abbiamo anche un gruppo di preadolescenti che teniamo particolarmente da conto, ma, ripeto, i numeri sono legati alle dimensioni ridotte del paese. A questi abitanti uniamo i villeggianti, che sono davvero attaccati alla nostra chiesa: diverse famiglie monzesi, milanesi e brianzole. C’è una certa vivacità, in senso pastorale, non mi posso lamentare».

Il passaggio dai Padri Vocazionisti alla Diocesi non è stato indolore perché i problemi di «assestamento» tra ieri e oggi hanno avuto riflessi durati a lungo, ma don Angelo ha sempre voluto guardare avanti e tramite i suoi fedeli ha saputo scommettere sul futuro: «L’ultimo Padre Vocazionista che è stato qui ha chiesto di poter entrare nel presbiterio diocesano, ma sta ancora aspettando il via libera della sua Congregazione, che aveva sensibilità diverse rispetto alle nostre. Comunque sia, stiamo guardando avanti. E la gente sta rispondendo. Tanto che, dopo dieci anni nella parrocchia di Porlezza, 19 a Cernusco sul Naviglio e altri 12 in Zambia (come fidei donum, ndr), sono davvero contento di essere qui a Perledo».

Il presbiterio è arricchito dell’esperienza di padre Enrico Bertazzoli del Pime, che don Angelo conobbe a Cernusco, quando padre Enrico tornò dai suoi 42 anni di missione tra Bangladesh e Amazzonia: «Non si è spaventato ad accettare il nuovo incarico ed è qui con me a darmi una mano a curare il mio “gregge”. È davvero un sacerdote dal cuore grande».