Lo spirito di comunione che il cardinale Scola indica come impegno e lascia come augurio ai tantissimi fedeli riunitisi per la sua visita, si rende evidente proprio nella Celebrazione eucaristica che l’Arcivescovo presiede nella bella e artistica chiesa prepositurale di Sant’Alessandro e Tiburzio a Besozzo.
C’è la gente, appunto, i chierichetti – che il Cardinale saluta con un breve dialogo prima della Messa –, i rappresentanti delle tante Associazioni del territorio, le Autorità militari e civili, tra cui nove sindaci di altrettanti comuni su cui insiste il Decanato. E, poi, il Coro delle Comunità riunite, le anziane ospiti della Casa di riposo “Ronzoni”, gli Alpini, oltre dieci sacerdoti del Decanato concelebranti, cui si aggiungono i vescovi monsignor Stucchi e Patriarca che, dopo molti anni trascorsi in Zambia, risiede oggi non lontano da Besozzo.
Il responsabile della Comunità Pastorale “San Nicone Besozzi”, don Sergio Vegetti, ricorda le difficoltà e la bellezza del cammino delle sei CP e dell’Unità che formano il Decanato, dove sono attive anche molte Case religiose con la presenza di ben 233 suore. L’attesa esplicita è per la parola, definita da don Vegetti preziosissima, del Cardinale che nella sua omelia dice subito: «Voglio anzitutto dirvi la mia gioia e la letizia per poter celebrare qui la Sacra Eucaristia che rappresenta l’azione principale che ognuno di noi possa compiere nella vita come partecipazione all’opera dell’Incarnazione che ha segnato la storia mediante la Passione, la morte e la Risurrezione di Gesù. La Chiesa oggi ci chiede un serio approfondimento della nostra fede e in che cosa consista la luce». Luce che è quel Cristo che illumina, se non gli resistiamo, le nostre menti e i nostri cuori. «In questo tempo quaresimale – continua Scola –, in cui siamo invitati ad andare al profondo di noi stessi mediante la preghiera, la penitenza, una carità che giunga fino all’interesse concreto per il bisogno degli altri, specie dei più poveri, dobbiamo ripetere con il Vangelo, “Credo Signore”. La presenza dell’Arcivescovo deve rappresentare un’occasione e un pungolo perché si possa domandare una fede convinta in ogni ambito della vita».
La pagina evangelica giovannea, nella domenica detta, in Rito Ambrosiano, del “Cieco nato” guida la riflessione. «È una pagina straordinaria che ogni volta ci commuove, disponendoci qui e ora a cambiare. Gesù è una luce e se noi la riceviamo veniamo purificati in senso compiuto, non soltanto nei corpi, ma in tutto nel nostro modo di vivere le passioni, di ordinarle mediante il giudizio di fede, perché vogliamo che la nostra azione di cristiani altro non sia che questa luce che continua ad illuminarci».
Il pensiero è per «il gesto impressionante e del tutto gratuito con cui Gesù rende la vista al cieco», ma soprattutto per la disputa tra i Farisei che ne nasce. «Discussione – nota – veramente importante e istruttiva e che diviene per noi insegnamento per come affrontare l’esperienza di ogni giorno. Il contrasto tra il fatto che si verifica e l’ideologia che sovrappostasi porta a uno scontro che si concentra sulla necessità di trovare ogni appiglio per negare la realtà, come fanno i farisei. Ma i fatti sono testardi e quindi non si può negarli e, infatti il cieco, toccato in profondità dall’amore di Cristo prende coraggio e dice sua la verità inoppugnabile».
Emerge da qui l’indicazione relativa a come vivere la famiglia, l Comunità cristiana e quella civile, in questi momenti di crisi e di stravolgimenti mondiali.
«Attenzione», avverte il Cardinale, «a non essere come i farisei, a non riconoscere i fatti, a non dare il primato alla realtà, a non distorcerla con le interpretazioni che diventano fissazioni insopportabili. Se non riusciamo a cambiare ciò segna le nostre comunità, perché la realtà contiene quei segni dei tempi che, attraverso le circostanze e i rapporti, indicano il cammino che dobbiamo compiere alla luce del Signore. Questa luce ci permetterebbe di vivere i rapporti costituitivi, con noi stessi, gli altri e Dio, secondo una luminosità – appunto – capace di comunicare a tutti, anche a chi ha perso la via di casa della fede, la bellezza di una ripresa della testimonianza vita cristiana che trasmetta vita buona attraverso le generazioni. Abbiamo sempre bisogno di guardare in faccia il Signore. Il Figlio di Dio è Colui che ti parla, nel cui battesimo viviamo, Colui al quale dire “Credo Signore”».
E, infine, prima del saluto della gente e del pranzo con i preti del Decanato, ancora una consegna precisa: «L’Arcivescovo vi domanda di andare avanti con decisione, perché la Comunità pastorale sarà capace di salvare sia la capillarità delle parrocchie sia la dimensione missionaria di una Chiesa in uscita nel campo che è il mondo. Curate la dimensione culturale della fede e l’attenzione al pensiero di Cristo. Non fermatevi: il grande nemico della realtà che avanza è il restare fissi su ciò che si è sempre fatto. La presenza di tanti sindaci è preziosa perché rispecchia una concezione da praticare nella società plurale. Non dimentichiamo che quando la dimensione sociale perde un riferimento di significato, diventa più difficile la politica, l’amministrare e la vita sociale. Occorre avere a cuore soprattutto un’educazione dei ragazzi che insegni loro ad amare, qualsiasi sia la scelta di vita futura, al senso del lavoro e di un giusto riposo come ristorazione e non dissipazione dell’io. Accogliete con spirito di comunità gli stranieri che arrivano – nel Decanato rappresentano ormai un 10% della popolazione – perché non saremo certo noi, con qualche pregiudizio, a bloccare la migrazione che oggi, nel mondo, coinvolge un miliardo di persone».