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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Intervista

«San Carlo e la sua Croce,
un invito alla conversione»

Monsignor Marco Navoni, dottore della Biblioteca Ambrosiana, riflette sull’attualità del Borromeo: «Entrò nel tessuto della città e del suo tempo, parlando a tutti»

di Annamaria BRACCINI

3 Novembre 2013

Cosa farebbe oggi San Carlo? Se lo chiedeva già il cardinale Montini cinquant’anni fa, sottolineando come i suoi tempi segnati da povertà e peste – molto concreta, allora – fossero assai simili ai nostri, con le tante «pesti» che rendono schiavo, umiliato, sfigurato l’umano. Non lo sapremo mai, cosa farebbe il Santo riformatore della Diocesi, ma qualche suo gesto è, e rimane, dopo mezzo millennio, emblematico. Non a caso, sarà proprio la Croce di San Carlo con la reliquia del Santo Chiodo a essere portata l’8 maggio 2014, per volontà del cardinale Scola, per le vie della città, in luoghi simbolo, come gesto speciale e pubblico di Professio Fidei, previsto nella logica missionaria della proposta pastorale “Il campo è il mondo”.

E sul rapporto tra il Borromeo e la croce riflette monsignor Marco Navoni, dottore della Biblioteca Ambrosiana e gran conoscitore della “Milano sacra”, come si diceva un tempo: «San Carlo riavvicinò il popolo alla reliquia del Santo Chiodo – a lui dobbiamo anche il rito della Nivola – e alla croce. Nel biennio 1576-1577, nei momenti tragici della peste che colpì Milano e il suo circondario, il Borromeo, senza paura, portò per le vie della città la croce che oggi chiamiamo appunto di San Carlo, come richiamo alla provvidenza e all’amore di Dio. In qualche modo, così egli àncorava i fedeli alla croce, per un essere cristiani che anche allora diveniva presenza viva e testimonianza».

Quindi quello di San Carlo fu anche un calarsi nel contesto della società civile?
Il Borromeo entra nel tessuto della città e del suo tempo: qui possiamo ritrovare la sua attualità, perché egli intuisce che la croce parla a tutti, a ognuno indica un amore che ci precede e che, come richiama spesso il cardinale Scola, è «per sempre». In un tale orizzonte, la croce come simbolo centrale della nostra fede è un invito senza tempo alla conversione. Vorrei richiamare l’omelia che San Carlo pronunciò il 24 febbraio 1584, l’ultima sua Quaresima. Predicando in Duomo commentò la pagina di Isaia, dove si dice che seppure una madre può dimenticare il figlio, Dio non ci dimentica mai, perché porta i nostri nomi scritti nelle sue mani. Ma Come Cristo ha inciso indelebilmente questi nomi? Con il chiodo della croce – risponde il Vescovo -, con quel Santo Chiodo che ancora oggi vediamo in Duomo, alla sommità dell’interno dell’abside. Mi pare che ciò sia importante anche per la contemporaneità che talvolta appare complessa, disordinata, quasi straniante. Ritornare alla croce e rimanervi – al di là di aspetti puramente devozionali -, significa comprendere come non si è mai soli, abbandonati, anche nei momenti più difficili e di crisi. La croce è la «prova certa ed eloquente» di un legame che non si spezza tra noi e Dio, che ha nella sua apparente «ignominia» la salvezza offerta a tutti, senza distinzioni… Infatti, è interessante notare che con San Carlo le croci cosiddette «crocette», site agli angoli delle vie, non solo servivano per celebrarvi Messa o per recitarvi il Rosario, ma erano luoghi nei quali sostare in preghiera tutti insieme: autorità religiosa, civile, militare e popolazione di ogni ceto.

Ma siamo ancora in grado, oggi, di comprendere tutto questo?
Il ricordo del Padre nei nostri confronti, ovviamente, non è solo, per così dire, mnemonico, ma è realtà viva che accompagna il cammino terreno di ognuno, in ogni tempo: lo riempie di luce, anche nell’oscurità delle pieghe disperate dell’esistenza, così come rende illuminate, e quindi percorribili, le strade del mondo in cui siamo immersi. Nelle piaghe della sua Passione, Cristo crocifisso esemplifica l’amore che non muore, cui naturalmente si è liberi di aderire, ma che ci viene continuamente riproposto. Tanto è vero che San Carlo, sempre nell’omelia sopra citata, aggiunge: «Se il Signore porta scritti i nostri nomi, noi non possiamo perdere la memoria di Lui, del suo amore preveniente».

La “Professio Fidei”

«Un gesto speciale» per «professare e celebrare la fede». Così, nella Lettera pastorale Il campo è il mondo. Vie da percorrere incontro all’umano (pagina 67), il cardinale Angelo Scola presenta la Professio Fidei con la venerazione pubblica della reliquia del Santo Chiodo, in calendario l’8 maggio 2014. Quello che vedrà protagonista la preziosa reliquia della Passione del Signore - custodita sulla volta del presbiterio del Duomo - non sarà un mero atto devozionale: «La professione della nostra fede per le vie della città», scrive infatti l’Arcivescovo «vuole dire a tutti la nostra decisione di percorrere le vie dell’umano fino nelle periferie più lontane, per seminare la gioia del Vangelo nel “campo che è il mondo”».