Difficilmente la Quaresima può tornare ad essere oggi quello che era per le generazioni che ci hanno preceduto, dice mons. Angelini, occorre realisticamente prenderne atto.
di Giuseppe Angelini
Nella lingua corrente dei liturgisti Quaresima e Avvento sono chiamati “tempi forti”. Nella vita effettiva essi paiono tempi assai deboli, a stento distinti da tutti gli altri tempi dell’anno, incapaci di lasciare una traccia sicura nello scorrere uguale e ripetitivo della nostra vita. Anche quei cristiani, che pure hanno una pratica più assidua e ripetono un proposito all’inizio di ogni Quaresima, sono poi spesso costretti a constatare alla vigilia di Pasqua la sostanziale sterilità della loro Quaresima.
Quanti sono più avanti negli anni ricordano le quaresime dell’infanzia e sono presi da un dubbio: forse dovremmo tornare ai “fioretti”, soprattutto a quelli alimentari, che un tempo segnavano in maniera assai visibile le settimane di Quaresima e riuscivano a conferire in qualche modo al giorno di Pasqua l’aspetto di un giorno atteso. I più giovani, che non hanno nella memoria questo punto di riferimento, di fronte ai ripetuti appelli a vivere la Quaresima come un tempo forte, rimangono perplessi.
Difficilmente la Quaresima può tornare ad essere oggi quello che era per le generazioni che ci hanno preceduto; occorre realisticamente prenderne atto. Le rinunce alimentari non possono assumere oggi quella consistenza di mezzi di conversione nello spirito, che forse invece avevano un tempo. Il mutamento complessivo della percezione del tempo della vita secolare rende più ardua la percezione del senso del tempo liturgico, e dunque la pratica conseguente.
Un signore poco esperto di cose di Chiesa mi interrogava giorni fa a proposito dei ritmi della mia vita. Al termine della mia breve descrizione concluse, con qualche stupore: «Ma allora anche la vostra vita è press’a poco come la nostra!»; èanch’essa cioè condannata a rincorrere sempre da capo la rete fitta degli impegni segnati in un’agenda. Ahimé, dovevo convenire che è proprio così. Egli immaginava che i preti potessero trascorrere in Chiesa, o nei dintorni, molta parte del loro tempi, disponibili a quanti capitassero di lì con una richiesta, senza la fastidiosa necessità di prendere appuntamenti. Anche i preti invece, come per tutti, hanno sempre molte cose da fare.
Attraverso quale spiraglio potrebbe dunque affacciarsi nella nostra vita la richiesta perentoria proposta all’inizio della Quaresima? Mi riferisco alle parole di Paolo: «Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio» (2 Cor 5, 20). Non c’è alcuno spiraglio che si apra, per così dire, da solo. Occorre invece che uno spiraglio sia aperto con decisione e addirittura con violenza dalla nostra iniziativa deliberata. Non soltanto uno spiraglio, ma una porta vera e propria, attraverso la quale il Signore possa entrare nella nostra casa. Tanto potremo fare, solo se approfondiremo la comprensione del senso spirituale della Quaresima, e non ci fermeremo alla domanda troppo piccola circa le cose in più che dovremmo fare.