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Resistenza

Ribelli per amore: i sacerdoti ambrosiani salvarono i più deboli

Tanti episodi, tanti protagonisti di una Resistenza che ebbe come protagonisti preti, suore e giovani cattolici diocesani e come luoghi di attività le parrocchie, gli oratori e i centri religiosi, per salvare ebrei e perseguitati dalla ferocia nazifascista.

di Silvio MENGOTTO

20 Aprile 2012

Dopo l’8 settembre 1943, di fronte al precipitare della guerra, don Giovanni Barbareschi, don Andrea Ghetti, don Enrico Bigatti e Giulio Uccellini decidono di ribellarsi dando vita all’Oscar (Opera scoutistica cattolica aiuto ricercati) che operava nel soccorso in favore di ebrei e ricercati. Sono circa duemila gli espatri organizzati dall’Oscar, tremila i documenti di identità e di copertura falsificati per permettere ai ricercati di sopravvivere.

A Milano l’attività clandestina dell’Oscar ebbe l’appoggio di non pochi sacerdoti: don Domenico Ghinelli, don Giovanni Macchi, don Aurelio Giussani, don Silvio Contini, don Italo Pagani, don Angelo Recalcati, don Pietro Cazzulani, don Achille Bramati, don Armando Lazzaroni e don Ferdinando Oleari. Per il cardinal Martini «la loro Resistenza fu anzitutto un’opera di carità, di ospitalità, di fratellanza: e fu proprio questo coinvolgimento dei preti con il loro popolo che li rese oggetto primo delle violenze tedesche e fasciste».

Il centro operativo dell’Oscar era il collegio San Carlo di Milano dove si falsificavano i documenti necessari per assicurare ai ricercati la sopravvivenza e luogo di riferimento per la fitta rete di collaboratori. Nel Collegio si concentrava la raccolta e lo smistamento della stampa clandestina, in modo particolare del giornale Il Ribelle. Dal 1943 al 1945 don Pietro Cazzulani, don Andrea Ghetti e don Aurelio Giussani, professori al Collegio, aiutano l’opera del Rettore mons. Lodovico Gianazza nella rischiosa protezione a ebrei e ricercati politici. Don Aurelio Giussani viene in contatto con nuclei partigiani delle Fiamme Verdi e collabora  per la diffusione nel milanese del giornale clandestino.

Nella parrocchia di Santa Maria Assunta a Turro agiva la 18° Brigata del Popolo «sostenuta dal parroco e animata dai due coadiutori (don Giovanni Colombo, don Domenico Ghinelli ). Nei locali dell’oratorio don Ghinelli favorisce tra i giovani la diffusione e la raccolta della stampa clandestina e organizza un “ufficio falsi” dove si falsificavano timbri e permessi necessari al movimento sicuro dei partigiani e salvare gli ebrei in pericolo con l’espatrio in Svizzera.

Don Enrico Bigatti non solo è punto di riferimento sicuro, ma viene aiutato dagli amici sacerdoti e da molti giovani e uomini della sua parrocchia (Santa Maria Rossa in Crescenzago). Il gruppo Oscar di Crescenzago realizza diverse spedizioni di persone che si rifugiano in Svizzera. Una lettera anonima avverte le SS che don Bigatti organizza fughe per prigionieri inglesi, greci, ebrei, giovani sbandati e renitenti alla leva con l’aiuto del cardinal Schuster. Viene imprigionato a San Vittore, ma grazie all’intervento di Schuster è liberato il 18 febbraio 1944. A don Enrico si chiede aiuto «per avere certificati falsi di copertura e la sua casa diventa luogo di raccolta e di smistamento della stampa clandestina. Dopo la liberazione don Enrico fa tutto il possibile per salvare la vita  a dei fascisti condannati a morte dal “tribunale del popolo” ma viene fermato.

Don Armando Lazzaroni è coadiutore nella parrocchia di San Giovanni Battista alla Bicocca. Tramite un amico don Armando contatta «nuclei della resistenza attiva e inizia una vasta opera di protezione a prigionieri alleati, famiglie ebree e giovani renitenti alla leva. Per loro organizza un ufficio che procura carte di identità, permessi di circolazione, esoneri militari», come ricorda monsignor Giovanni Barbareschi nelle sue memorie.

Don Giovanni Macchi, parroco di San Martino in Niguarda, nel 1943 ha già sessantotto anni. Dopo l’8 settembre ’43 svolge un opera di coordinamento del CLN ( Comitato Liberazione Nazionale ) offrendo la sua casa quale rifugio per le riunioni clandestine. Insieme a suor Giovanna Mosna e suor Teresa Scarpellini dell’Ospedale Maggiore di Niguarda, organizza l’assistenza ai detenuti qui trasferiti perché l’infermeria del carcere di San Vittore, causa un bombardamento, era inagibile. Incoraggiati da don Barbareschi, suore, medici, infermiere del padiglione Ponti, dove erano alloggiati i detenuti ammalati e feriti, collaborano generosamente al fine di salvare e aiutare persone all’espatrio clandestino in Svizzera.

Nel gennaio ’45, collaborando con il CLNAI ( Comitato Liberazione Nazionale Alta Italia ) don Giovanni è incaricato dal cardinale Schuster di portare a termine le trattative per la salvaguardia delle principali strutture civili cittadine e regionali. Nel carcere di San Vittore è presente anche don Angelo Recalcati nella veste di secondo Cappellano e chiede al Comando tedesco la possibilità di avvicinare anche i detenuti controllati dalla polizia nazista per celebrare con loro la Messa. La sua opera di assistenza si appoggia sulla collaborazione preziosa ed eroica di tutte le suore del carcere. Fra di loro la superiora suor Enrichetta Alfieri e suor Maria Grazia Faverio.

Presso l’Ufficio Missionario Diocesano nel ’43 opera don Achille Bramati il suo ufficio diventa un’ottima copertura per una “centrale”di documenti falsificati che servono a proteggere i giovani renitenti alla leva repubblichina, i politici ricercati, gli ebrei che vivevano in clandestinità. Don Italo Pagani, coadiutore nella parrocchia di Santa Maria di Caravaggio, nei locali dell’oratorio ospita i giovani renitenti alla leva repubblichina, ebrei ricercati, giovani allo sbando. I locali dell’oratorio diventano il punto di riferimento per gli ufficiali di collegamento della Divisione «Giustizia e Libertà», che operava nel Piacentino e nell’Oltrepò pavese.

Nella parrocchia di San Michele e Santa Rita, il coadiutore don Silvio Contini parla con chiarezza ai giovani dell’oratorio sente la necessità di «darsi da fare, partecipare in modo attivo alla Resistenza, avere il coraggio di porre oggi le premesse di una vita futura libera e democratica, cristianamente intesa». Nella zona di piazza Corvetto si costituisce la Brigata del Popolo, di cui don Silvio è fondatore, animatore e cappellano. Il 25 aprile 1945 la Brigata dirige l’insurrezione di tutto il quartiere. La casa del sacerdote è centro di raccolta e diffusione della stampa clandestina, dove si stampano certificazioni false che permettono ad alcune persone alla macchia di sopravvivere.