Carlo Gnocchi, terzogenito di Enrico, marmista, e Clementina Pasta, sarta, nacque a San Colombano al Lambro (MI) il 25 ottobre 1902. Rimasto orfano del padre all’età di cinque anni, si trasferì a Milano con la madre e i due fratelli – Mario e Andrea – che di lì a poco morirono di tubercolosi. Seminarista alla scuola del cardinale Andrea Ferrari, nel 1925 venne ordinato sacerdote dall’Arcivescovo di Milano, Eugenio Tosi. Celebrò la sua prima messa il 6 giugno a Montesiro, il paesino della Brianza dove viveva la zia e dove, fin da piccolo, aveva trascorso lunghi periodi di convalescenza, lui di salute così cagionevole.
Il primo impegno apostolico del giovane don Carlo fu quello di responsabile d’oratorio a Cernusco sul Naviglio; poi, dopo solo un anno, nella popolosa parrocchia di San Pietro in Sala, a Milano. Raccolse stima, consensi e affetto tra la gente, tanto che la fama delle sue doti di ottimo educatore giunse fino in Arcivescovado. Nel 1936 il Cardinale Ildefonso Schuster lo nominò assistente spirituale di una delle scuole più prestigiose di Milano: l’Istituto Gonzaga dei Fratelli delle Scuole Cristiane.
Coerente alla tensione educativa che lo voleva sempre presente con i suoi giovani, anche nel pericolo, allo scoppiare della guerra si arruolò come cappellano volontario e partì, prima per il fronte greco-albanese e poi – con gli alpini della Tridentina – per la campagna di Russia. Nel gennaio del ’43, durante l’immane tragedia della ritirata del contingente italiano, cadde stremato ai margini della pista dove passava la fiumana dei soldati: raccolto da una slitta, si salvò miracolosamente. E fu in quei giorni che, assistendo gli alpini feriti e morenti e raccogliendone le ultime volontà, maturò in lui il sogno di realizzare una grande opera di carità, che trovò compimento, a guerra finita, nella Fondazione Pro Juventute.
Rientrato in Italia, aiutò molti partigiani e perseguitati politici a fuggire in Svizzera, rischiando in prima persona la vita: fu arrestato dalle SS e incarcerato con l’accusa di attività contro il regime. In questo stesso periodo iniziò il suo pietoso pellegrinaggio attraverso le vallate alpine, alla ricerca dei familiari dei caduti, per dare loro conforto materiale e morale: accolse i primi orfani di guerra e i bambini mutilati, avviando così l’Opera che lo portò a guadagnare sul campo il titolo più meritorio di “padre dei mutilatini”.
Morì prematuramente a Milano, il 28 febbraio 1956. L’ultimo suo gesto profetico fu la donazione delle cornee a due ragazzi non vedenti quando ancora in Italia il trapianto d’organi non era regolato dalla legge.
Trent’anni dopo la sua morte, il Cardinale Carlo Maria Martini ha avviato il processo di Canonizzazione che, concluso nel 1991 in sede diocesana, è ora in corso di svolgimento alla Congregazione delle Cause dei Santi, a Roma.
Nel dicembre del 2002 Papa Giovanni Paolo II, riconoscendone l’eroicità delle virtù, lo ha proclamato Venerabile.
Nell’inverno del 2004, a Milano, si è svolta la sessione straordinaria del processo per l’analisi di un presunto fatto miracoloso.