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Intervista

«Prendersi cura del popolo di Dio
col sorriso sulle labbra»

Maurizio Bozzolan, da 29 anni sacrista a Sant’Agostino: «La chiesa va valorizzata e amata, sia nella struttura, sia nelle relazioni con le persone»

di Francesca LOZITO

15 Febbraio 2015

Da Rovigo a Milano per fare il sacrista. È una bella storia, quella di Maurizio Bozzolan, da 29 anni sacrista a Sant’Agostino, la chiesa dei salesiani in via Copernico a Milano.

«Avevo 33 anni, era il 1986 – ricorda -. Abitavo a Fratta Polesine, in provincia di Rovigo, e facevo lavori saltuari: nella nostra zona il tasso di disoccupazione è sempre stato alto. Dopo aver letto un annuncio su Avvenire per la ricerca di questa figura ho risposto. Sono stato l’unico a venire a vedere di persona, e mi hanno assunto…».

Perché è bello fare questo mestiere? «Io me ne sono innamorato fin da piccolo: nel mio paese c’era un sacrista molto simpatico, che aveva un feeling particolare coi bambini. E poi si prendeva cura della chiesa, delle sue opere d’arte…». La cosa più importante è custodire sia la struttura, sia le relazioni: «La chiesa va valorizzata e amata – prosegue -. L’incontro con le persone è quel che mi entusiasma di più. Il sacrista è la prima persona che la gente incontra entrando in chiesa, perché i preti magari sono presi da altre cose…».

Gioie, fatiche, affanni, notizie importanti: tanta vita passa dentro le chiese. Tante le persone che, frequentando assiduamente o solo per un ingresso, si accostano a questo luogo, «e allora bisogna sempre accoglierle col sorriso sulle labbra. Lasciare a casa i propri problemi e così prendersi cura del popolo di Dio…».

Spesso i sacristi sono persone sposate, con una famiglia: come interagisce la moglie con un mestiere che è lavoro e servizio allo stesso tempo? «Mia moglie e mia figlia sono molto pazienti con me. – risponde – Anche loro vivono il “peso” della mia professione, il fatto che il sabato la domenica e durante le festività noi sacristi dobbiamo lavorare». Bozzolan sta per andare in pensione e per questo ha comprato casa: è infatti uno degli ultimi sacristi ambrosiani con una casa della parrocchia.

Maurizio ama davvero la “sua” chiesa. La definisce «la più bella di quelle costruite nel Novecento a Milano». Ogni giorno il suo lavoro è scandito dai ritmi delle celebrazioni: «La mia giornata-tipo in settimana inizia alle 7.30. La chiesa è già aperta dalle 6.45 perché c’è la prima messa alle 7, e ad aprire ci pensano i sacerdoti. Poi, finite le liturgie – durante le quali faccio servizio all’altare, dirigo il gruppo ministranti, preparo i calici, le particole, l’incenso – se non capita qualche funerale, sono in chiesa fino a mezzogiorno, per riordino, pulizia, incontro con le persone, tutto quello che serve. Il pomeriggio sono in servizio dalle 15.30 alle 19.30. Preparo tutto per le due messe, e poi alle 19.30 chiudo».

I tempi dei giorni di festa sono più lunghi, naturalmente: «Apro alle 7.30. Ci sono tre celebrazioni durante la mattinata, e io sono sempre in servizio». Un’abitudine domenicale che si ripete da trent’anni: «Una delle prime cose che faccio la domenica mattina è mettere a posto i giornali della “buona stampa”…» precisa. Dopo la Messa delle 11.30, alle 13 va a casa. Poi c’è il pomeriggio: «Riapro le porte alle 16.30; l’ultima messa del pomeriggio è alle 18.30, alle 19.30 chiudo». Non prima di aver atteso «che le ultime “pecorelle” siano uscite. Io non faccio tintinnare le chiavi, non mando fuori mai nessuno», conclude orgoglioso.