Come ogni anno, la presidenza della Conferenza episcopale italiana torna, in prossimità della scadenza per le iscrizioni scolastiche, a invitare studenti e genitori alla scelta per l’Insegnamento della religione cattolica (Irc). Lo fa con un messaggio che, pur avendo una sua ritualità, non è la ripetizione di un adempimento scontato, quasi meccanico e dovuto, a “onorare” la scadenza. Piuttosto, ogni volta, il tradizionale messaggio in vista della scelta di avvalersi dell’Irc, è una riflessione rinnovata sull’identità di tale insegnamento, sulle ragioni che lo sostengono nella scuola di tutti, sull’impegno della Chiesa italiana per l’educazione dei giovani e il bene del Paese. È come se ogni anno si cogliesse l’occasione per comprendere meglio una prospettiva – quella dell’Irc neoconcordatario – adottata ormai trent’anni fa, per molta parte “figlia” del Concilio, frutto di un cammino importante di riflessione nella Chiesa e nella società civile.
Ogni volta, nel messaggio, parole “fresche” e provocanti, come quelle di Papa Francesco, ricordate dalla presidenza della Cei: «La scuola è uno degli ambienti educativi in cui si cresce per imparare a vivere, per diventare uomini e donne adulti e maturi, capaci di camminare, di percorrere la strada della vita. Come vi aiuta a crescere la scuola? Vi aiuta non solo nello sviluppare la vostra intelligenza, ma per una formazione integrale di tutte le componenti della vostra personalità» (Discorso agli studenti delle scuole gestite dai gesuiti in Italia e Albania, 7 giugno 2013).
E viene in mente la “stagione dei dibattiti”, le lunghe discussioni, negli anni che hanno preceduto e preparato la revisione concordataria, sulla necessità di caratterizzare l’ambiente educativo scolastico, di puntare alla formazione integrale, di cogliere l’opportunità dell’educazione, anche religiosa, pur in un ambiente “laico”, di tutti e per tutti, come la scuola pubblica. L’Irc nasce in questo contesto: offrire alla scuola un’opportunità perché possa essere sempre più e meglio… scuola. Nasce nella convinzione di una comunità cristiana che non chiede privilegi, ma riconosce l’autonomia delle diverse realtà e sa mettersi al servizio, con umiltà, di un’istituzione non sua, collaborando «per la promozione dell’uomo e il bene del Paese», come recita il Nuovo Concordato.
Questa comunità, negli anni seguiti agli accordi, si è misurata con le difficoltà, anche con le ambiguità che possono sussistere, muovendosi però sempre con chiarezza al servizio dell’educazione e della scuola: impegnandosi a raccogliere, di volta in volta, le esigenze dei più giovani, ad adeguarsi ai cambiamenti rapidissimi della scuola stessa, a proporre una formazione iniziale e in servizio costante e qualificata per i suoi docenti, “volto” concreto di una Chiesa che si spende per tutti, con lealtà e professionalità.
Ecco, tutto questo viene in mente leggendo il messaggio di quest’anno, che ricorda le nuove Indicazioni didattiche, la stipula dell’Intesa sui titoli di qualificazione, richiama una volta di più l’orizzonte delle “finalità della scuola” e precisa come l’Irc «consente a tutti, a prescindere dal proprio credo religioso, di comprendere la cultura in cui oggi viviamo in Italia, così profondamente intrisa di valori e di testimonianze cristiane». A questo Irc vale la pena d’iscriversi, per non perdere un’opportunità. Per questo Irc vale la pena d’impegnarsi, per continuare a offrire un’occasione alla scuola italiana di fare bene il proprio mestiere.