«“Perché consacrarsi oggi” è una domanda scomoda, che il chiamato rivolge a se stesso facendo i conti con la difficoltà ad accettare un appello che da una parte sembra allettante e dall’altra scombussola i propri piani». Sono considerazioni di padre Davide Capano, 39 anni, Carmelitano scalzo, che ha fatto la professione solenne il 6 ottobre 2012 presso il Convento di Monza ed è stato ordinato presbitero nel Duomo di Milano il 7 giugno 2014 dal cardinale Angelo Scola.
«Certo, è un “sentire la chiamata” che richiede discernimento e fa sperimentare gioia e inquietudine – prosegue -. Con gioia ogni giorno occorre ridire il proprio sì in un “per sempre” che è sorretto dalle mani di Dio, e quindi da una vita in cui la preghiera deve essere al centro; e questo diventa nutrimento, in quanto liberamente “lo vogliamo” nell’affidamento». Originario della parrocchia di San Rocco a Monza, a 5 anni Capano si è trasferito con la famiglia a Cologno Monzese, nella parrocchia dei Santi Marco e Gregorio. Dopo aver frequentato il liceo scientifico, si è laureato in Giurisprudenza alla Bicocca. Dopo qualche anno di lavoro, è entrato nell’Ordine dei Carmelitani scalzi. Frequenta i corsi di licenza in Teologia fondamentale presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale.
«“Dove ti cerchi” richiede una domanda nuova: “Signore, dove abiti?” – precisa padre Davide -. È un cercarsi in Dio che non ci annulla, che continuamente ci espropria, ma che nel contempo non ci fa cadere nell’illusione di una prospettiva solo “sperimentalistica” del cammino spirituale; comporta un venire adesso alla sequela, e un vedere domani (o dopodomani, forse!), che ci coinvolge in un rapporto personale con Dio. È un mettersi alla sequela di un Altro, un essere messi sul candelabro, che ci espone in un affidamento e fa i conti con un essere feriti a vari livelli – dal nostro peccato, dai rapporti fraterni, dall’Amore di Dio -, che però restituisce la libertà che fin dagli inizi l’uomo ha sempre cercato».
«Perché consacrarsi oggi? Perché ancora “oggi”, davanti a questa nuova umanità si “incontra Dio”, si sperimenta la sua passione, il suo progetto d’amore, il suo continuo coinvolgimento nella fragile storia umana e ci si innamora!», afferma dal canto suo madre Grazia Bongarzone, 49 anni, di Bettola di Pozzo d’Adda, Canossiana dell’Istituto Figlie della Carità. Laureata in scienze dell’Educazione, insegna scienze umanistiche in una scuola professionale di Milano. A proposito della vocazione aggiunge: «Si viene afferrati dalla Parola e dallo Sguardo di Dio, che nel suo amare si relaziona con noi chiamandoci a essere protagoniste attive nella sua opera di Salvezza. Ci si innamora di Dio perché egli “seduce” con la fortezza dell’Amore (Ger 20,7). Il nostro sguardo si amplia, il nostro cuore si dilata, i nostri progetti si estendono dal centro alle periferie, aumentano le sfide e la carità diventa creatività d’amore, abbracciando ogni persona, abitando ogni cultura. In questa proposta di totale donazione è racchiusa la nostra fecondità generativa per noi e per gli abitanti di questo secolo». Consacrarsi oggi, per madre Grazia, ha un fine: far conoscere Gesù: «Santa Maddalena di Canossa diceva che “egli non è amato perché non è conosciuto”. Ancora oggi c’è un ideale da indicare e costruire insieme: la comunione fraterna. C’è ancora una Profezia da annunciare, una vita da elevare e una grande gioia da proclamare: Dio è con noi; essere segni di speranza, sguardi di tenerezza, abbracci di misericordia, parole di conversione, sguardi verso l’Alto, verso l’Altro».
M.S., missionaria della Regalità di Nostro Signore Gesù Cristo, che mantiene il riserbo sulla propria appartenenza – come richiesto dalla maggior parte delle Costituzioni degli Istituti secolari -, ritiene che «non vi sia differenza tra consacrarsi oggi, ieri o fra mille anni. La ragione è sempre la stessa: essere donne e uomini “di servizio” al Signore, alla sua Chiesa e ai fratelli, quelli che incontriamo ogni giorno; nelle circostanze in cui ci imbattiamo ogni giorno. Questo è stato vero per i grandi santi del passato come per le “piccole” persone che nel presente ogni giorno spendono la propria vita per amore: del Signore, del prossimo e anche di sé. Come Dio comanda». In ordine sua consacrazione aggiunge: «Tra le diverse forme di consacrazione nella Chiesa una delle più recenti, riconosciuta nel 1947 con la Provida Mater, è quella secolare o laicale (definizione che preferisco). Mi sono sentita attratta da questo tipo di consacrazione perché mi permette di essere “casta, povera e obbediente” nelle realtà della storia di ogni uomo e di ogni donna, senza distinzioni o “protezioni” (anche una divisa e una comunità fraterna a volte possono proteggere…). Dentro quella storia che Dio nell’Incarnazione vuole abitare. E testimoniare come posso che il Dio di Gesù Cristo è un Dio fedele oltre ogni ipotesi possibile; e che non esistono “figli di un Dio minore”!».