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Seveso

Per un’animazione culturale della fede più efficace e “popolare”

Nella sessione conclusiva dell’ottavo mandato del Consiglio diocesano, interessante confronto sul tema che sarà al centro della prossima Lettera pastorale dell’Arcivescovo

di Claudio MAZZA

4 Maggio 2015
PERSONE RIFLESSE NELLO SPECCHIO STRADALE

L’ultima sessione del Consiglio pastorale diocesano, che ha concluso il quinquennio dell’ottavo mandato, si è tenuta nello scorso fine settimana a Seveso nel nuovo Centro Pastorale Ambrosiano.

A tema c’era l’animazione pastorale della cultura in diocesi. Come di consueto, il dibattito in aula ha preso avvio dalle relazioni pervenute dalle sette Zone pastorali, sintetizzabili in sei punti:

Il rapporto tra fede e vita, descritto come problematico e affrontato in modo incostante. Le iniziative sono spesso dettate dall’urgenza del momento, ma senza sistematicità. Ciò genera a volte sfiducia nella possibilità che il messaggio cristiano possa interpretare la realtà complessa che ci circonda.

Il discernimento comunitario. Servono più occasioni di ascolto e di confronto: occorre individuare una serie di strumenti agili per interpretare il presente nei suoi variegati aspetti e figure di animatori culturali ben preparati e formati a questo particolare servizio. Solo così la testimonianza può affascinare e attrarre gli altri.

Rapporto Parrocchia-Decanato. La singola Parrocchia non è il luogo più idoneo per una pastorale della cultura sul territorio. Spesso al suo interno prevale l’attenzione alla carità, alla catechesi, ma poco alla sfera culturale. Di qui la riscoperta del Decanato quale realtà più consona all’individuazione dei luoghi del discernimento, della riflessione e della programmazione culturale.

La pastorale. È sicuramente attenta alla liturgia, alla vita spirituale, all’educazione e alla morale; tuttavia si occupa ancora marginalmente dei valori “sociali”. Qualche volta si percepiscono toni un po’ allarmistici, come se la comunità cristiana si sentisse accerchiata e, quindi, sospettosa nei confronti di una società con cui fatica a dialogare. È auspicabile un atteggiamento più aperto, disponibile a parlare “con” le persone piuttosto che “sulle” persone e i loro problemi. Anche le omelie domenicali potrebbero dare un interessante contributo.

Comunicazione e linguaggio. Dalle Zone viene lo stimolo a utilizzare le opportunità favorite dalle nuove tecnologie per migliorare e intensificare la presenza della comunità cristiana nel mondo della comunicazione. A tal fine andrebbe rivisto anche il linguaggio, che dovrà essere semplice e chiaro, in grado di farsi capire da tutti.

Iniziative sul territorio. Queste non mancano, ma spesso si sovrappongono: è quindi auspicabile un più attento coordinamento per evitare polverizzazioni o accavallamenti. Fatica ancora a emergere una dimensione “popolare” di cultura cristiana, troppe volte dismessa a favore di una tendenza intellettualistica per “addetti ai lavori”. È emersa anche una preoccupante allergia a condividere iniziative organizzate da gruppi diversi dal proprio. Mentre è impegno di tutti quello di coinvolgere – di più e insieme – la società civile, con proposte scaturite dalla comunità cristiana, per non relegare nel privato e nell’intimità la nostra fede.

Partendo da questi sei punti, gli interventi dei Consiglieri in aula hanno declinato una pastorale della cultura attorno ai quattro ambiti di vita presi in considerazione dall’ultimo Discorso alla città dell’Arcivescovo: vita sociale e costumi, lavoro ed economia, educazione arte e turismo, fragilità ed emarginazione. Ne è scaturito un dibattito vivace e attento, un interessante esercizio di discernimento comunitario frutto dell’esperienza quotidiana dei propri vissuti. Una cultura intesa come modalità con cui la fede in Cristo rinnova, attualizza, plasma il nostro modo di pensare e di intendere la vita. Una cultura che sappia coinvolgere tutti i fedeli verso una testimonianza più credibile e attrattiva. Per questo, come suggerisce l’Arcivescovo, occorre pensare all’uomo come a una creatura in relazione, un io-in relazione, come una persona vocata a realizzarsi nel dono di sé. E così facendo si rilancia l’idea di un nuovo umanesimo che metta al centro la dimensione creaturale e relazionale a immagine di Dio di cui l’uomo è portatore.

Al termine del dibattito assembleare, conclusivo del quinquennio, l’Arcivescovo ha voluto ringraziare i consiglieri per il percorso in crescendo maturato di sessione in sessione, che ha portato l’assemblea non solo a espletare il compito del consigliare, ma a essere portatrice di valori ed esperienze tra il territorio e il centro, e viceversa. Ha poi sottolineato quanto il tema dibattuto in quest’ultima sessione sia importante per ricreare tra i fedeli quel sensus fidei affievolitosi nel tempo e di cui c’è tanto bisogno per vivere e trasmettere una “vita buona” incentrata sul “pensiero di Cristo”. «Noi siamo dentro una cultura e la cultura sta nell’esperienza che noi facciamo», ha detto il Cardinale. Citando poi dal Discorso di Giovanni Paolo II all’Unesco del 1980 ha aggiunto: «L’uomo in quanto uomo è immerso nella dimensione culturale, di cui è allo stesso tempo soggetto e artefice». Un testo magistrale, ha concluso l’Arcivescovo, «un “manifesto” da cui partirò per la Lettera pastorale sulla dimensione culturale della fede che ci impegnerà nel prossimo biennio e, a questo scopo, mi saranno preziosi i vostri interventi che oggi ho ascoltato».