«Sono giorni belli per la Chiesa milanese segnati dalla presenza dell’urna di don Bosco, che aveva un rapporto speciale con la nostra Diocesi». Domenica sera la parrocchia di San Giovanni Bosco, alla periferia sud-ovest di Milano, accoglie con grande gioia l’urna del Santo a cui è dedicata. A presiedere la preghiera comunitaria è monsignor Carlo Faccendini, Vicario episcopale per la città di Milano. La chiesa è strapiena non solo di chi vive nel quartiere, ma anche di sacerdoti, religiose e laici delle comunità parrocchiali del Decanato di Baggio. Già moltissimi ragazzi e giovani, appartenenti anche alle squadre di calcio, accolgono festosi l’arrivo dell’Urna. E tantissimi vegliano in preghiera per tutta la notte.
Nella sua omelia Faccendini attinge al «patrimonio educativo incalcolabile» del Santo dei ragazzi, sottolineando tre indicazioni per l’oggi: «Don Bosco ci dice che l’educazione è innanzitutto esperienza di salvezza: pensava che solo il riferimento a Gesù sarebbe stato capace di ricostruire esperienze di umanità là dove apparivano abbruttite, confuse, soprattutto nella vita e negli affetti feriti. Questo è stato il suo stile di fare il prete per educare i suoi ragazzi, che voleva dire raccoglierli attorno a Gesù. Salvezza come riscatto dal male, ma anche consegnare la loro vita a una bellezza».
Seconda indicazione: «Per don Bosco educazione era uno straordinario atto d’amore – sottolinea Faccendini -. La sua vera genialità è stata pensare che Gesù passa nella vita di un ragazzo a condizione che nella sua vita passa l’educatore, che esso diventi un riferimento significativo. Questo spinge a vivere con loro, ad amare quello che amano loro. Dunque, non rimproveri, giudizi, indicazioni. Nell’educazione vince chi c’è, non chi parla: chi sta lì educa. Educare vuol dire vivere un’avventura di libertà e l’educatore vero è libero e liberante».
Una grande lezione davvero, che ancora oggi coglie nel segno e aiuta a non fare errori. Dice il Vicario di Milano: «Educare è avere grande rispetto della storia di ognuno, delle sue grandezze e delle sue fragilità. Un ragazzo è sempre più grande di quello che fa e che dice. Non c’è educazione senza considerazione positiva di chi deve crescere. I ragazzi fiutano se c’è stima nei loro confronti, avvertono i pregiudizi e si difendono. Non si può educare senza pazienza, è un’arte di chi non rinuncia ai valori, ma dà il tempo necessario a ognuno per poter crescere».
Infine, educazione è anche un’arte di squadra: don Bosco ha raccolto «un gruppo di persone capaci di mettersi in gioco nella vita dei ragazzi. Lo stesso cardinale Scola ci richiama al valore della comunità educante come soggetto educativo».
«Ripensando ai tanti educatori che incontro – conclude Faccendini – vedo in loro una grande fatica: chi educa seriamente paga la fatica di stare anche quando si ha l’impressione di sbagliare tutto. Molti invece fuggono dalla vita dei ragazzi. Ma vedo anche altre esperienze: vivere una grande avventura che merita di mettere in gioco la propria vita».