La prima sensazione che si respira fra i giovani che hanno partecipato a Osare la pace per fede èche le relazioni siano salde, ricche, anche se nate da poco. C’era aria di festa, nella chiesa milanese di Santo Stefano, come se tutti si sentissero parte di un pezzettino di storia.
di Tomaso Zanda
La presenza di trecento giovani «è un segno concreto dell’unità visibile tanto agognata della Chiesa», dice Stefano D’Amore segretario della federazione Giovani Evangelici Italiani (FGEI). Osare la pace per fede è la testimonianza che «i giovani si auto-formano e si lasciano formare all’ecumenismo». E’ il segnale di una ricerca, di una domanda di educazione all’ecumenismo da unire a tutte le altre forme di educazione.
Questa formazione è reciproca, senza cattedra e avviene nello scambio, nasce facendo le cose, osservando il mondo. Federica 18 anni osserva come «nonostante siamo diversi, si è cercato di collaborare per risultati concreti con uno sguardo sul mondo». All’incontro si è tutti uguali conferma Claudio della Chiesa Avventista del Settimo Giorno. Anche Chiese quantitativamente minoritarie sentono di avere la loro importanza al pari delle confessioni più grandi. «Si condivide e ci si confronta con altre realtà senza sentirsi minoritari proprio per il fatto di essere giovani». Ragazzi e ragazzi, prima che appartenenti a Chiese. Uomini e donne di oggi che non si sentono tanto promesse del futuro quanto attori del presente.
Durante la celebrazione per la firma della Charta oecumenica la distanza fra istituzioni, i loro rappresentanti e i giovani si è mutata in interazione, specialmente «durante lo scambio della pace» dice Elena, felicemente sorpresa del calore con cui le autorità si abbracciavano e scendevano a salutare l’assemblea.
L’ecumenismo cercato dai giovani di Osare la pace per fede ha il profumo della casa, di quell’ oikos (casa appunto, da cui deriva oikumene) che ha la freschezza dei volti, delle relazioni. E’ un ecumenismo propositivo e aperto, che non vuole essere un arroccamento sull’identità comune cristiana da contrapporre a forze esterne nemiche. Stefano D’Amore nota sollevato che questo «non è un ecumenismo della paura», ma che costruisce.
L’attenzione all’esterno, alla società, alle tematiche della globalizzazione, dell’ecologia e della guerra raccontano di un ecumenismo maturo che «richiede un cambiamento dello stile di vita di ognuno di noi che vogliamo essere testimoni del Vangelo di giustizia», dice Matteo.
«Richiede senso di responsabilità, ascolto della Parola e voglia di immergersi nella realtà», aggiunge Stefania.
Lo dimostra l’interazione con Fa’ la cosa giusta e l’attenzione posta durante la festa serale di sabato in Fieramilanocity al tema dell’acqua, emergenza da affrontare in tempi brevi e che richiede un cambiamento del nostro agire quotidiano.