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Padre Dall’Oglio, un pensiero che nutre lo spirito di ogni uomo in ricerca

«Il mio testamento», sintesi dell'orientamento intellettuale e spirituale del gesuita fondatore della Comunità di Deir Mar Musa al-Habashi in Siria, pubblicato a dieci anni dalla sua scomparsa, al centro dell'incontro di sabato 18 novembre all'Ambrosianeum

di Elena BOLOGNESI

9 Novembre 2023
Al centro, padre Paolo Dall'Oglio

«Una nuova fraternità umana: il sogno di padre Dall’Oglio è realtà» è il titolo dell’incontro in programma sabato 18 novembre, alle 11, alla Fondazione Ambrosianeum (via delle Ore 3, Milano), nel contesto del progetto «Artigiani di sogni» promosso da un gruppo di editori cattolici per Bookcity 2023 (locandina). Si parlerà del libro Paolo Dall’Oglio, Il mio testamento (Itl libri – Centro Ambrosiano) e interverranno Francesca Peliti, Elena Bolognesi, Saif Eddine Abouabid e monsignor Carlo Azzimonti; modera Luca Geronico.

È il 29 luglio 2013: padre Paolo Dall’Oglio, gesuita e fondatore di Deir Mar Musa al-Habashi (monastero di san Mosè l’Abissino) in Siria, raggiunge Raqqa, capitale dell’opposizione islamista al regime del presidente Assad. Da un anno è stato espulso dal Paese per le sue posizioni a favore delle istanze di libertà e democrazia rivendicate dai siriani scesi in piazza nel contesto pieno di attese della cosiddetta «primavera araba». Ora vi ritorna clandestinamente per continuare a sognare un Paese nuovo, riconciliato, democratico, pluralista. Ma a Raqqa scompare e di lui non rimane traccia, solo voci e testimonianze impossibili da verificare.

Conferenze inedite

Nel decimo anniversario della sua scomparsa, la Comunità monastica di Deir Mar Musa si affida a Itl Libri per la pubblicazione delle conferenze finora inedite che padre Dall’Oglio ha tenuto negli ultimi mesi di permanenza in Siria (Paolo Dall’Oglio, Il mio testamento, Centro Ambrosiano, 208 pagine, 19,50 euro). Commentando la prima Regola della Comunità, che risale al 1997-98, il fondatore di questa singolare esperienza monastica nel deserto ripercorre gli inizi e ne traccia le coordinate essenziali. «Commentando la Regola – scrive nell’Introduzione padre Jihad Youssef, attuale superiore di Deir Mar Musa – Paolo esprime tutto il suo pensiero teologico circa la Chiesa, l’ecumenismo, la relazione con l’ebraismo, la centralità della parola di Dio, la vita monastica e spirituale e la relazione con l’Islam. Queste pagine sono un ricco nutrimento spirituale, culturale, psicologico, religioso, sociologico, antropologico e teologico per la Comunità di Mar Musa, ma anche per tutti i consacrati e i battezzati e direi potenzialmente per ogni essere umano in ricerca. Il nostro fondatore teorizza e si sforza di affrontare anche temi scottanti come quello della sessualità nella vita religiosa».

Accanto a memorie autobiografiche e al racconto degli inizi, trovano così spazio i temi che continuano a dare forma alla vita della Comunità e alcune figure spirituali di riferimento: i padri e le madri dei deserti mediorientali, che hanno posto le fondamenta dell’impianto monastico d’Oriente e d’Occidente; sant’Ignazio di Loyola; san Charles de Foucauld con il forte riferimento alla vita nascosta di Gesù a Nazaret. E poi, ancora, Louis Massignon, orientalista francese, molto vicino a Paolo VI, che tanto influenzò il Concilio Vaticano II sul tema del rapporto con il mondo islamico.

Padre Paolo Dall’Oglio con un abitante del territorio nei pressi della sua Comunità

L’emozione di papa Francesco

Il testamento spirituale di padre Dall’Oglio esce con una prefazione d’eccezione, quella del confratello gesuita papa Francesco. In molti modi il Papa si è fatto vicino alla famiglia di padre Paolo e si è speso in prima persona per aiutare la popolazione siriana e per chiedere pace e giustizia.

Sfogliando le pagine del libro, papa Francesco confessa la sua emozione: «Sappiamo che non avrebbe desiderato incolpare della sua misteriosa e drammatica scomparsa l’islam in quanto tale; rinunciare a quel dialogo appassionato in cui lui ha sempre creduto. Non si trattava di tattica politica, ma dello sguardo di un missionario che sperimenta, innanzitutto su di sé, la potenza della misericordia di Cristo. Uno sguardo non fondamentalista, ma lieve, pieno di quella speranza che non delude perché riposa in Dio. Sempre aperto al sorriso».

La crisi siriana e la scelta di rimanere

In questi dieci anni, la situazione in Siria si è fatta sempre più drammatica: la guerra non è conclusa, i morti si stimano attorno a mezzo milione, i rifugiati interni sono quasi 7 milioni e più di 5 milioni quelli nelle regioni circostanti. Poi si sono aggiunti l’embargo, il crollo economico del vicino Libano, il flagello del Covid e nei mesi scorsi la tragedia del terremoto. Oggi le Nazioni Unite stimano che 15 milioni di siriani necessitino di protezione e aiuti umanitari, su una popolazione complessiva di 22 milioni.

«Noi siriani – racconta padre Jihad – ci siamo uccisi, odiati, divisi e abbiamo desiderato l’annientamento l’uno per l’altro. Durante questa guerra assurda, che ancora non finisce, abbiamo avuto paura. Mi sono chiesto: se Dio esiste, perché non fa nulla?».

Eppure la Comunità è rimasta: «A ogni sorgere del sole ho e abbiamo scelto di credere, di avere fede in Dio che c’è e che non ci abbandona. Ci siamo sentiti sostenuti e sollevati dalla preghiera di tante persone, cristiane, musulmane e non credenti. Abbiamo discusso e litigato se rimanere o abbandonare Deir Mar Musa. Non abbiamo avuto visioni né risposte tramite sogni o angeli. Siamo rimasti non perché forti, né per diventare eroi o per sfidare qualcuno. Non abbiamo cercato un martirio ingenuo e a buon mercato. Siamo rimasti per fedeltà al Signore, che ci ha chiamati qui e che non ci ha chiesto di andarcene, siamo rimasti in solidarietà con i cristiani delle nostre parrocchie e con i nostri amici musulmani. Siamo rimasti guardando oltre e aspettando la seconda venuta di Cristo».