«Non si nasce cristiani, lo si diventa»: questa formula di Tertulliano trova oggi tutta la sua attualità. È possibile oggi presupporre la fede, o meglio una certa consapevolezza di fede, da parte di chi già battezzato chiede un cammino d’introduzione alla vita cristiana per i figli e/o come adulto è disposto a “ricominciare” un cammino di ascolto della Parola di Dio, di accompagnamento nella vita della comunità cristiana?
La domanda naturalmente non ha una risposta univoca e definita, ma piuttosto un possibile ventaglio di punti di partenza, di situazioni di vita personali, familiari, sociali, culturali. Siamo certi però che è indispensabile cambiare il modello di catechesi, o meglio d’introduzione alla vita cristiana: non più un modello di tipo didattico che presuppone una logica di eredità di una fede già ricevuta, sostenuta socialmente e culturalmente.
È pur vero che abbiamo una storia e una cultura impregnata di cristianesimo, che i nostri padri ci hanno consegnato con la testimonianza della vita. Quanta continuità di questo patrimonio di fede è ancora riconoscibile nel tessuto sociale e culturale del nostro Paese, nelle nostre città?
Questi interrogativi interpellano la comunità cristiana in modo radicale e impegnativo. La nostra stessa Diocesi, che da tempo ha avviato una seria riflessione, sperimentazione e attuazione di un progetto in particolare per l’iniziazione cristiana, si trova ora a compiere scelte decisive sulle quali si tratta di tenere non solo sullo sfondo, ma operativamente queste domande aperte.
Mi permetto di suggerire una pista di riflessione che può essere guida per ogni scelta nell’ambito della catechesi e in generale della pastorale della Chiesa oggi. Dobbiamo ridisegnare, tenendo conto della tradizione, un itinerario d’introduzione alla vita cristiana che sappia riproporre primariamente in modo rinnovato e credibile le ragioni del credere, agli adulti e di conseguenza ai giovani, ai ragazzi, ai bambini. I cosiddetti “prolegomeni della fede” o initium fidei non possono essere dati per scontati, anzi sono la soglia, la “porta” che introduce in modo intellegibile e desiderabile alla fede. Non vanno, però, posti come condizione unica per credere a partire dalla ragione, ma piuttosto dentro un incontro vivo con una comunità cristiana che rende visibile, credibile, appetibile, affascinante l’itinerario dell’incontro con Cristo, la sua Parola, il suo Pane, il suo Amore.
Ecco una prima e imprescindibile condizione che possiamo porre nella scia di ciò che è l’inizio, la soglia della fede: «Prima di tutto, un dispositivo iniziatico richiede un tessuto comunitario fraterno. Quando un candidato si presenta per camminare nella fede, la prima cosa non è d’insegnarli la verità della fede, ma di aprirgli uno spazio di fraternità, di accoglienza reciproca e di ospitalità condivisa nel nome del Vangelo. Ecco perché, oggi più che mai, abbiamo bisogno di comunità cristiane fraterne che gettino un ponte fra le generazioni e che costituiscano, attraverso la loro vita stessa, un ambiente al quale dei nuovi venuti nella fede desiderino unirsi e appartenere» (A. Fossion, Annuncio e proposta della fede oggi, Scuola Cattolica, n.3, 2012).
Nel contesto di una reale esperienza da vivere “in” e “con” una comunità, la comunità stessa diventa “un libro aperto”, San Paolo direbbe una «lettera aperta di Cristo» leggibile, comprensibile e… appetibile.