Share

Venerdì santo

Nel Venerdì Santo la vita piena
sgorga dalla morte

Nel buio della cattedrale il cardinale Scola ha celebrato la Passione e deposizione del Signore: nel sacrificio di Gesù «la speranza non è speranza mancata, ma speranza affidabile»

di Filippo MAGNI

29 Marzo 2013

Alle parole "Gesù di nuovo gridò a gran voce ed emise lo spirito", il cardinale si interrompe. Tutto il Duomo si inginocchia. Le luci si spengono. L’altare è spogliato e nascosto da un drappo rosso scuro. Tutto, nella cattedrale buia, porta a pensare a "un’esperienza di dolore e di perdita che sembra irreparabile", dirà il cardinale Angelo Scola nell’omelia.
È la celebrazione della passione e della deposizione del Signore, "mistero abissale di morte e di amore", lo definisce l’arcivescovo di Milano. Che oggi legge il Vangelo, caso unico, mentre lungo tutto il resto dell’anno la Parola è proclamata da un diacono. Segno ulteriore, se fosse necessario, che ci troviamo al cuore del Triduo pasquale.
Tradimento, umiliazione, morte. Sono le parole che riecheggiano durante la funzione. Riassunte in un simbolo: la croce spoglia, che il cardinale adora insieme a tutti i fedeli. Segno del sacrificio e della sofferenza che diventano esaltazione, riconciliazione, gloria.
"Non togliamo lo sguardo dal dramma del Golgota che sfiora la tragedia", predica nell’omelia l’arcivescovo, rivolgendosi "ai presenti e a chi ci segue con i mezzi di comunicazione" in diretta tv, radio, internet.
Lì, sulla croce, "si consuma il dramma della morte che milioni e milioni di donne e di uomini hanno vissuto prima di noi e vivranno dopo di noi". Perché la morte di Cristo, prosegue Scola, è la stessa morte che da tutti gli uomini "è sempre subita come una condanna, tanto più se è quella prematura e violenta delle vittime di tutti i tempi e di tutti i luoghi della terra, ancor più se è la morte di un innocente". Che ha come unico suono "i singhiozzi soffocati di Maria e delle altre donne" e l’urlo lacerante "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
Un grido che sembra essere la rinuncia alla speranza. E invece, rassicura il cardinale, "la vita piena sgorga da quella morte. La salvezza degli uomini è generata dal sacrificio di Cristo: questo è l’annuncio inaudito, umanamente incredibile («Chi avrebbe creduto al nostro annuncio?» Is 53,1), eppure più di ogni altro desiderato e, ora, reso a nostra portata". Ecco perché, aggiunge, "La speranza non è speranza mancata, ma speranza affidabile".
E anche "la nostra personale morte – riflette l’arcivescovo di Milano -, che ci può fare molta paura, è già custodita e vinta dalla Sua morte. Soprattutto però è vinto, se lo riconosciamo, il nostro peccato. Non dimentichiamo – aggiunge al proposito – il valore della confessione. Non rinunciamoci".
La conclusione dell’omelia è uno sguardo alla veglia pasquale, che Scola suggerisce di attendere "stando davanti al Crocifisso come < Al termine della predicazione il cardinale Angelo Scola e tutti i concelebranti si portano in processione all’ingresso del Duomo per l’adorazione della croce, spogliata del Crocifisso. La accompagnano all’altare per l’adorazione dei fedeli, al canto del salmo 21 che inizia con il versetto "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?". È con tutta la chiesa raccolta intorno alla croce che riecheggiano le parole della preghiera universale, con intenzioni di preghiera per la Chiesa e per il mondo intero.
Fino alla conclusione della funzione, che si completa con il ricordo della Deposizione del Signore. Un rito che invita i fedeli a contemplare la scena della sepoltura di Gesù, a riviverne l’efficacia di salvezza. Nel silenzio che prepara al Sabato Santo e alla gioia della Veglia di Risurrezione