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Nel Brasile dalle mille facce

Tra luci e ombre, fattori di sviluppo e contraddizioni irrisolte, qual è il vero volto del Paese che, dal 23 al 28 luglio a Rio de Janeiro, ospiterà centinaia di migliaia di partecipanti alla XXVIII Giornata mondiale della Gioventù?

di Ivan VITALI

9 Luglio 2013

In un periodo in cui i modelli antropologici, sociali ed economici appaiono sempre più in difficoltà nel prevedere e spiegare i comportamenti e nello stare al passo con la velocità dei cambiamenti, il Brasile – che a fine luglio ospiterà a Rio de Janeiro la Giornata mondiale della Gioventù con Papa Francesco – è un Paese interessante da conoscere, oggi più che in passato.

“Gigante per natura” come recita il suo inno nazionale, il Brasile è il più grande Paese latino-americano – una Repubblica federale che si estende su un territorio grande circa 30 volte l’Italia, con quasi 200 milioni di abitanti (un terzo con meno di 14 anni e solo l’8% con più di 65) -, ai vertici mondiali per risorse naturali, minerarie, fossili e produzione agricola.

Famoso per il Carnevale, le Cascate dell’Iguaçu, le spiagge infinite, il calcio “danzato”, la terra color ruggine e la gente sorridente e un po’ indolente, fuori dagli stereotipi turistici il Brasile è un Paese in cui ambivalenze e contraddizioni, in buona parte ancora irrisolte, hanno saputo convivere, tanto da essere oggi tra i principali al mondo per peso economico e potenziale di sviluppo (il sesto per Pil nominale). Fino a qualche decennio fa noto più per le favelas e i fallimenti economici, ha affrontato riforme, investito in prevenzione e salute, realizzato infrastrutture che, solo negli ultimi dieci anni, hanno portato fuori dalla povertà oltre 35 milioni di persone.

A un altro sguardo, tuttavia, il Brasile è anche un Paese dove nelle favelas vivono ancora milioni di persone, dove nelle regioni rurali del Nord Est o di alcuni Stati come l’Acre le scuole sono fatte di mattoni di fango e hanno tetti di paglia, dove il diritto alla cura sanitaria, all’educazione e allo studio faticano a diffondersi ai livelli elementari e tra le persone più bisognose.

Il Brasile scrive la propria storia nel meticciato di razze, di culture e di religioni. È il Paese in cui i pochi indios sopravvissuti agli stermini dei conquistatori, i milioni di schiavi africani e i colonizzatori portoghesi hanno mischiato negli anni il proprio dna e le proprie tradizioni culturali e religiose, dando vita a una integrazione che ha portato a una società eccezionalmente multirazziale e tollerante. Questa “miscela” si ritrova, per altri versi, nella convivenza tra i culti animisti e la venerazione di divinità totemiche, dove i rituali dedicati agli dei del mare convivono con le festività cattoliche, il Candomblé con le religioni monoteistiche (tra cui prevalgono la cattolica e quelle evangeliche).

In una città brasiliana è frequente incontrare chiese cattoliche, simili alle italiane nella struttura architettonica, accanto a chiese evangeliche, costruite in capannoni o in moderni spazi in vetro e cemento, accanto a segnali di quel sincretismo religioso che ha permesso di mantenere vive, cristianizzandole, tradizioni e culti legati alle divinità africane: ancora oggi, laddove permangono le tradizioni africane, come a Salvador Bahia, nelle chiese più antiche le funzioni religiose cristiane si integrano con rituali animisti.

Ho vissuto in Brasile per quattro anni e vi sono tornato per qualche giorno alcuni mesi fa, a distanza di sei anni. Ho ritrovato un Paese trasformato: nuove università, un po’ ovunque, piene di studenti; città in continua espansione; segnali di un grande sviluppo economico, miglioramento degli indicatori di qualità della vita, un livello di ottimismo, fiducia nel futuro e “autostima” sconosciuti alle nostre latitudini. Il progresso economico porta quasi a dimenticare che il Paese ha ancora grandi sfide da raccogliere: la riforma agraria, percorsi di crescita anche per i più miseri, la sicurezza nelle città, la possibilità di rendere sostenibile lo sviluppo e di “contaminare” altri Paesi, partendo da quelli limitrofi.

Ma quale significato potrà avere per le persone lo sviluppo economico in un ex Paese del Terzo Mondo? Si procederà pensando alla crescita del Pil e dimenticando i valori e le fatiche che hanno animato chi ha vissuto in prima persona le lotte per la cittadinanza, l’uguaglianza, la distribuzione, l’integrazione e la stabilità sociale? Oppure si lavorerà per un confronto e un dialogo, la ricerca del “fratello” nell’altro, nel diverso per colore, razza e cultura, il perseguimento del bene comune? In un senso o nell’altro, lo sviluppo del Paese potrà avere traiettorie e percorsi molto diversi.

L’importanza che ciascuno darà al nutrimento della propria spiritualità, il modo in cui le religioni sapranno ascoltare e parlare a uomini e donne e dialogare tra loro, insieme ai fattori economici, avranno un ruolo fondamentale nel definire il volto del Brasile nei prossimi decenni.