Sirio 19-25 marzo 2024
Share

Milano

«Nei luoghi della cura si rende visibile
il volto umano della metropoli»

Presiedendo presso l’Ospedale Niguarda la celebrazione eucaristica, il Cardinale ha definito la medicina più che una scienza, un’arte. La prova fa sì che l’intelligenza unita alla carità produca creatività e genialità

di Annamaria BRACCINI

17 Settembre 2013

«Vi ringrazio per avermi accolto». Lo dice il cardinale Scola ai malati dei reparti di Medicina generale dell’Ospedale Niguarda. Degenti che l’Arcivescovo vuole salutare subito, dopo una breve sosta in preghiera presso la Cappella Giovanni Paolo II, arrivando in questa realtà sanitaria che è un’eccellenza per Milano e per l’intero Paese, «istituzione gloriosa, luogo in cui cercare e trovare la strada di una metropoli dal volto umano», come sottolineerà lui stesso poco dopo nella celebrazione eucaristica.
E davvero “grazie” è stata la “parola chiave” di questo incontro tra tutte le componenti dell’Azienda Ospedaliera – ad accoglierlo è il direttore sanitario Giuseppe Genduso – e il Cardinale che così ha sancito, con la sua presenza, il passaggio di consegne tra i sacerdoti diocesani finora attivi nell’assistenza spirituale e i quattro padri Camilliani cui è da ora affidata la Cappellania. Presenza da sempre discreta, ma fondamentale alla vita di “Niguarda” in questi settant’anni, un “farsi prossimo” che quasi si tocca con mano nella gratitudine dei malati e dei familiari quando l’Arcivescovo in ogni camera del “Blocco A”, 200 i posti letto, entra, si ferma, benedice e prega, accolto, specie dalle pazienti più anziane, con una semplicità insieme disarmante e tenera.
«Il mio abbraccio è per ciascuno di voi e dei vostri cari, in questo momento tanto doloroso e che pure è parte della vita», spiega Scola attraversando i lunghi corridoi di questo ospedale insieme storico e moderno che conta qualcosa come 1200 posti letto, più di 40.000 ricoveri e 90.000 accessi al Pronto soccorso ogni anno, con 770 medici, 1600 unità di personale infermieristico, centinaia di volontari, per un’attività che non si ferma mai, né di giorno, né di notte, con ampliamenti continui degli spazi: l’estate prossima sarà inaugurato il grande Blocco nord che verrà terminato entro il 2013.
«La medicina è un’arte più che un scienza, arte terapeutica», scandisce ancora il Cardinale nella celebrazione eucaristica che presiede all’aperto sotto un cielo bello di Lombardia, davanti alla chiesa all’interno della struttura, con tanta gente che si sporge anche dai balconi dei piani alti. Accanto a lui decine di sacerdoti, tra cui tutti i cappellani, i preti delle parrocchie vicine, il vicario episcopale di Milano, monsignor Faccendini, e di Zona Settima, monsignor Cresseri, a lungo cappellano del Policlinico e già responsabile del Servizio per la Pastorale della Salute della diocesi. Concelebrano anche l’attuale responsabile, don Paolo Fontana, il provinciale dei Camilliani per l’Italia, padre Vittorio Paleari e padre Giacomo Bonaventura, nuovo vicario rettore della Cappellania.
L’eucaristia – di fronte a tanti fedeli e ai vertici dell’Azienda Ospedaliera, c’è anche l’Assessore alla Salute e vicepresidente di Regione Lombardia, Mantovani – diventa il simbolo di un cammino di speranza con quello “spirito missionario dei sacerdoti di Niguarda che negli anni – lo ricorda il cappellano uscente, monsignor Bruni – ha portato a costruire 18 pozzi in Africa, raccogliendo semplici tappi di plastica, che ha visto alcuni sanitari portare la propria esperienza e opera sempre in Paesi poverissimi del continente nero e che, infine, oggi, dona direttamente all’Arcivescovo attrezzature per l’Ospedale di Chirundu in Zambia.
«La malattia tocca in senso profondo chi soffre e chi è vicino al malato e apre a un domanda sul significato che diamo alla prova e alla nostra intera esistenza. Sono vicino a tutti voi, ringrazio il personale sanitario e i volontari, non soltanto coloro che professano la fede cristiana, ma tutti coloro che sentono la necessità della vicinanza al prossimo, esprimendo, così, una vicinanza profonda a Dio», continua il Cardinale.
«Anche nell’aspetto doloroso e, talora, tragico della nostra vita c’è un significato, che non è inutile, che dice che la nostra esistenza non finisce nel nulla. Ricordiamoci che la morte stessa, per la salvezza operata da Gesù è un passaggio». E può esservi, allora, anche un aspetto positivo nella prova, «la malattia può farci superare il rischio di un perdita della fiducia in Dio e negli altri, recuperando il senso vero della vita è dono».
Riflettendo sul Vangelo della Visitazione, l’Arcivescovo aggiunge, «quell’ ‘in fretta’ con cui Maria si reca da Elisabetta è emblema di un desiderio, di una tensione positiva verso l’altro, è espressione non solo di un’umanità che prova compassione, ma di una disponibilità a lasciarsi amare definitivamente per amare per sempre».
Poi, il pensiero dell’Arcivescovo va all’intera Milano che «in questa fase di passaggio che ci trova, come europei, stanchi e provati, ha bisogno di un’esperienza autentica e umana come avviene in questo luogo di cura. Siamo un realtà scheggiata, viviamo di schegge di verità, ma occorre fare unità con un nuovo umanesimo».
Su questo – ne è convinto – «Milano deve dire la sua e coniugarsi con le altre città europee per la sinfonia di una realtà nuova, di un uomo nuovo».
Infine l’auspicio, «Chi ha un ruolo di la responsabilità, nella regione e nel Paese, sia consapevole di quale fatto di civiltà rappresentino i luoghi della cura dove il bisogno viene assunto e condiviso con un senso. Questa coscienza, credo, si farà sempre più acuta anche in questo tempo di crisi che pare togliere speranza ai giovani e alle famiglie. Cerchiamo, qui, in questi spazi, la strada per una metropoli dal volto umano, che già pronuncia i suoi primi balbettii. La prova fa sì che l’intelligenza unita alla carità produca creatività e genialità».