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Natale 2007 UNA FESTA “CON I TUOI” CHE LASCIA UNA SCIA DI 364 GIORNI

21 Dicembre 2007

La Natività di Gesù è un richiamo alle riunioni familiari e un invito anche ad aprirsi agli altri, agli estranei, soprattutto ai più disagiati. Ma solidarietà e accoglienza non possono valere per un solo giorno dell’anno: il 25 dicembre aiuti a rischiarare anche gli altri 364.

di Giuseppe Grampa

L’imperativo racchiuso nel titolo “Natale con i tuoi” resiste ancora, nonostante il richiamo delle piste innevate o delle spiagge esotiche. L’auto è già pronta con i bagagli, ma molti non rinunciano alla cena della Vigilia con relativa Messa di Mezzanotte, o al pranzo del giorno. Poi, onorato il detto popolare, si parte; ma la tradizione familiare è salva, anche quest’anno.
Perché Natale con i tuoi? Protagonista di questa festa non è forse la famiglia, quella di Giuseppe e Maria? Non si celebra la nascita di un figlio? Èquindi naturale che questa festa sia diventata festa della casa, della famiglia, dei bambini. Se c’è un giorno dell’anno in cui tornare a casa e ritrovare i propri familiari, questo è il giorno di Natale. Se c’è un giorno in cui la lontananza e la separazione pesano sul cuore fino a essere insopportabili, questo è il giorno di Natale.

Natale con i tuoi, perché in questo giorno noi celebriamo un evento semplicissimo, eppure sconvolgente. Quel Dio che dalla notte dei tempi gli uomini cercano battendo le strade più diverse, quel Dio si è fatto vicino all’uomo, ha lasciato le stelle per abitare l’umanità di un bambino. Quel Dio che diciamo onnipotente, principio e ragione di tutte le cose, perfetto nella sua autosufficienza, è nelle braccia di una giovane donna, dopo esser stato come intessuto per nove mesi nel suo piccolo utero.
Nessun altro evento cristiano è più comprensibile di questo. Nella capanna di Betlemme si può entrare senza fatica, basta chinarsi appena e si è accolti dal calore e dall’odore degli animali e dal pianto di un neonato. Singolare cornice per la nascita del Figlio di Dio che ha nome Emmanuele, cioè Dio con noi.

Il Natale parla il linguaggio del primo e più elementare gesto umano: il nascere. Per questo il Natale è festa che tutti o quasi celebrano a loro modo, o con i riti religiosi o con altri segni di umanità. Ècome l’alta marea che raggiunge tutti. È festa di grembo e di mammelle turgide di latte: «Beato il grembo che ti ha portato e le mammelle da cui hai succhiato il latte» (Lc 11,27-28). Grembo e seno non sono forse i luoghi primi e fondamentali della nostra condizione umana? Per questo la casa è il luogo del Natale, la famiglia il suo spazio, i bambini i suoi protagonisti.
Natale con i tuoi. Eppure, proprio in questo giorno, i tuoi non sono solo i tuoi. Natale compie il miracolo di chiamare “tuoi” anche coloro che gli altri giorni dell’anno non lo sono: gli estranei, gli altri, addirittura i nemici. Questo giorno è per tutti una tregua: tacciono le armi, deponiamo le ostilità, tendiamo una mano. Perché proprio questo giorno conosce gesti di solidarietà e di accoglienza? Perché proprio in questo giorno vorremmo che nessuno sia lasciato alla solitudine e allo squallore: per tutti, soprattutto i più disastrati, vorremmo uno spazio di calore, una parentesi di serenità. Almeno oggi cade la distanza tra i “miei” e gli “altri”.

Ma proprio questa cascata di umanità e di dolcezza suscita in taluni una sorda avversione. Conosco una persona che in questo giorno si rifiuta di scambiare auguri e doni, non sopporta i rituali familiari, si sottrae a questo diluvio di buoni sentimenti, se appena può scappa a sciare. Dal suo calendario ha cancellato il 25 dicembre.
Non ha tutti i torti, il mio amico D. È finzione ipocrita una tregua di ventiquattr’ore per tornare subito dopo all’indifferenza e alla durezza che non apre la porta a chi non è dei miei, a chi è altro, estraneo. Il mio amico D. non vuole celebrare il Natale, non vuol mettersi per un giorno quella che considera una maschera di mitezza, umanità, benevolenza, per poi riprendere i tratti duri, forse spietati, di chi non riconosce affatto che l’altro è dei “miei”. Dice il mio amico D.: non fingiamo, per un solo giorno, di essere quelli che non siamo negli altri 364. Davvero, non ha tutti i torti.
Eppure…

Io invece vorrò celebrare il Natale, anzi mi sto preparando da settimane lungo questo Avvento. Sto pensando ai doni per dire affetto, gratitudine, amicizia. Mi chiedo: chi tra i miei studenti lontani dalla propria famiglia potrò invitare alla tavola della nostra casa, dove mio fratello vescovo preparerà il risotto? Non farò altri gesti “straordinari” per Natale: li terrò come in serbo per gennaio e febbraio quando, spente le luminarie, tornerò in Albania perché anche lì ci sono i “miei”.
Al mio amico D. – che non sopporta la festa di Natale e che non pensa proprio di farmi gli auguri -, io vorrei qui augurare un Natale buono. Un giorno buono non fa certo male, anzi può rischiarare gli altri 364, come la scia luminosa della cometa di Betlemme.
Natale buono, D.