I piccoli di Chernobyl, in Italia durante le feste per “vacanze terapeutiche”, celebrano il Natale ortodosso il 7 gennaio. Tuttavia partecipano volentieri alle abitudini e alle tradizioni delle famiglie che li ospitano, con gli occhi sgranati davanti alle tante comodità italiane e col cuore pieno di gratitudine per i loro “genitori” milanesi.
di Mauro Colombo
Chissà se anche Marina, stavolta, trascorrerà finalmente un Natale in Italia come desidera da tempo. Suo padre non c’è più e nelle altre occasioni, quando si trattava di firmare i documenti per l’espatrio, sua madre era lontana, a lavorare. Se riuscirà a venire, forse Marina resterà interdetta davanti al coltello posto di fianco ai piatti, a tavola: a casa sua si usano solo forchette.
Ma proverà il piacere di avere il bagno di fianco alla camera, e non in mezzo ai campi, e di considerare l’acqua calda una normalità, e non un lusso. Magari sgranerà gli occhi trovando regali di fianco al presepe: dalle sue parti sono più avvezzi agli alberi. Solo la neve, se arrivasse, non la sorprenderebbe: in Ucraina ne hanno anche troppa…
Marina ha 14 anni. Non era ancora nata quando in quel complesso di capannoni, ciminiere e cilindri di cemento armato ancora oggi inquietante solo a guardarlo, si scatenò il mostro che per alcune settimane si sprigionò sopra l’Europa, materializzando l’incubo dell’olocausto nucleare. Poi si dissolse, almeno per noi, che di quel periodo ricordiamo il temporaneo divieto di bere latte e mangiare insalata.
Ma alla gente di Chernobyl – che poi non è solo di Chernobyl, ma anche di Kiev, Pripyat, Chernigov e di centinaia di altre città, paesi e villaggi dell’Ucraina, della Russia e della Bielorussia – il mostro ha cambiato la vita, accorciandola o, nel migliore dei casi, condizionandola. I lasciti del cesio contenuto nella nuvola radioattiva fuoriuscita dalla centrale nucleare si chiamano tumori, leucemie, disfunzioni tiroidee, anomalie e malformazioni genetiche di cui non si è ancora raggiunto il picco. E se per gli adulti bisogna lasciar fare al destino, per bambini e ragazzi come Marina qualcosa si può fare.
In oltre vent’anni – il disastro di Chernobyl è del 26 aprile 1986 – in tutta Europa sono nate iniziative di solidarietà rivolte ai “bambini di Chernobyl” e concretizzatesi perlopiù in periodi di ospitalità e soggiorno in altri Paesi, utili per “cambiare aria” (in tutti i sensi). Tra le numerose associazioni italiane impegnate in questa attività c’è anche la onlus “Ti dò una mano”, che dal 2003 riunisce un’ottantina di famiglie ospitanti a Monza, in Brianza e nella provincia di Bergamo: sono già 300 i minori ucraini – a partire dai 6/7 anni fino a un massimo di 17 anni – ospitati nei tre periodi annuali di soggiorno (cinque settimane tra giugno e luglio, quattro settimane in agosto e quattro settimane tra dicembre e gennaio).
I benefici di queste “vacanze terapeutiche” non sono solo psico-fisici (un ambiente sano e un’alimentazione ricca di vitamine e proteine riducono fino al 50% il tasso di cesio accumulatosi nel sangue), ma anche civili e sociali: «Questi ragazzi entrano in contatto con un nuovo sistema di vita, lontano dalla mentalità post-sovietica – spiega il dottor Lele Duse, presidente di “Ti dò una mano” -. Si rendono conto che possono e devono costruirsi un futuro, senza aspettare che a loro pensi lo Stato». Un’ex “bambina di Chernobyl” è oggi viceconsole ucraina a Milano: il futuro, lei, se l’è guadagnato da sola, e ora spera che la sua esperienza sia condivisa da altri.
Il 23 dicembre dalla regione di Chernigov arriveranno a Monza una quindicina di minori. È molto natalizia questa “attesa” di un bambino che viene da Oriente, anche se l’Ucraina ortodossa celebra la Natività non il 25 dicembre, ma il 7 gennaio. «A chi ospita non chiediamo se sia cattolico, laico o di un’altra confessione o religione – spiega il dottor Duse -. In genere, però, i bambini “sentono” molto il Natale e partecipano volentieri alle celebrazioni».
I giorni in famiglia trascorreranno veloci, con feste e scambi di doni, gite e serate in pizzeria, grandi gesti d’affetto e piccoli segni di gelosia. «In famiglia sono trattati esattamente come i nostri figli e ciò, talvolta, crea qualche problema – ammette il presidente -. C’è un particolare curioso: tutti i bambini ucraini imparano abbastanza in fretta la lingua, ma rispetto ai pari età italiani quelli più piccoli sono meno intraprendenti, mentre i più grandi sono decisamente più “svegli” e vivaci…».
E poi arriverà il giorno del ritorno, intorno al 10 gennaio. «Il momento della partenza è sempre triste – confessa il dottor Duse -, perché i bambini gustano realmente ogni momento che trascorrono da noi. D’altra parte, in loro c’è anche il desiderio di tornare a casa, dalle loro famiglie. Perché questi bambini, anche se molti sono orfani di un genitore, una famiglia ce l’hanno. E noi non abbiamo alcuna intenzione di sostituirci a essa». Marina lo sa, e anche per questo, quando accadrà, il suo Natale “italiano” sarà più bello.