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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Palazzo Marino

Montini, un episcopato aperto
alla modernità e alla sfida di Milano

Nel convegno di preparazione alla beatificazione, è stato presentato il dvd inedito su Paolo VI. Nella Sala Alessi gremita, i relatori hanno analizzato il rapporto tra il futuro beato e la metropoli ambrosiana

di Annamaria BRACCINI

15 Ottobre 2014

«Non Nova, sed nove»: a Milano non servono cose nuove, ma un modo “nuovo”. Lo diceva Giovanni Battista Montini che un po’, quella Milano, temeva, arrivandovi in un gelido e piovoso 6 gennaio 1955, giorno del suo ingresso solenne in Diocesi come arcivescovo ambrosiano. E, allora, a Palazzo Marino, nella prestigiosa Sala Alessi si parla appunto, in un convegno a più voci, di “Montini e la sfida di Milano”.

Per primi, come “padroni di casa” prendono la parola l’Assessore ai Lavori pubblici e Arredo urbano, Carmela Rozza e il collega Alla Sicurezza e Coesione Sociale, Marco Granelli. «Ritengo che una delle “storie” più importanti di questa città sia stata e sia proprio l’apporto che la Chiesa ambrosiana ha offerto a Milano, nel dialogo con il mondo laico, attraverso il suo contributo nel sociale, nel rapporto continuo e imprescindibile con le Amministrazioni comunali, di qualsiasi colore essere fossero. È importante che questo momento – il riferimento è al Convegno e alla trasmissione in diretta della Beatificazione proiettata in 4K in Galleria, domenica – fosse vissuto nella casa dei milanesi, il Comune e nel suo “salotto”, la Galleria. Un rapporto da vivere e rivivere per tornare a essere insieme la locomotiva del Paese», conclude Rozza .

Di alcuni tratti fondamentali montiniani parla Granelli, evidenziando come «città e Chiesa abbiano saputo collaborare nel momento della grande trasformazione dell’immigrazione anni ’50». Un insegnamento anche per l’oggi, cosi come l’idea della “politica come maniera esigente di vivere l’impegno cristiano”. Evidente – sottolinea Granelli – la consegna che ne viene a chi ha scelto la strada dell’azione nella Cosa pubblica, a realizzarla «in modo responsabile ed esigente».

E così, mentre il grande arazzo del Comune con l’effigie di Sant’Ambrogio, sembra vegliare sui Lavori (verrà portato in piazza San Pietro il 19 ottobre) e i giovani non vedenti, Chiara Alissa e Juan Carlos grazie all’Associazione “il Seme”, trascrivono, con una tecnologia all’avanguardia, gli interventi su un maxi-scherzo facendo le “prove generali” di quanto avverrà in Galleria, interviene Giselda Adornato, studiosa e perito storico della Causa di Beatificazione.

«Montini arriva a Milano in un’epoca che vedeva una sostanziale tenuta della pratica cristiana con, ad esempio, 200.000 iscritti all’Azione Cattolica e 50.000 alle ACLI, ma comprese subito la “materiale presenza dei cristiani a fronte di una loro spirituale assenza”, come scriveva lui stesso chiamando la metropoli la città del “time is money”. Si inserisce qui – scandisce Adornato – la visione di una Chiesa “che non deve seguire, ma guidare e precedere il progresso”, perché “il cristianesimo deve attingere alle sue genuine fonti, non sostituendo una piccola religione alla grande”». E il pensiero va al “Piano Nuove Chiese” – 123 ne verranno costruite – all’apertura ecumenica – nel solo 1956 l’Arcivescovo incontra sei Pastori anglicani – all’attenzione per i tre settori cruciali del mondo del lavoro, dei i poveri e dei lontani.

Già, “i lontani”, per i quali, ben consapevole della scristianizzazione della città, il Pastore pensa la Missione del 1957, per “scuotere i tiepidi e raggiungere la grande massa dei lontani”, appunto.

Forse, come riconosce Montini stesso, l’obiettivo non viene raggiunto – “la porta è rimasta chiusa” –, ma la scelta dell’evangelizzazione resta.

Parla di cultura, il Vicario Episcopale, monsignor Luca Bressan che definisce, più che i rapporti che contraddistinsero Montini in questo contesto, la logica in cui il futuro beato visse l’orizzonte culturale, «come strumento attraverso cui l’uomo può decriptare la realtà per scoprire la sua identità profonda e la presenza del Creatore».

Insomma, «la cultura come spazio per leggere l’uomo per un sacerdote, Vescovo e Pontefice che si pensa anzitutto come Padre al quale stanno a cuore le anime, e che per questo si fa attento ascoltatore capace di dialogo».

«Montini impara tutto ciò espirando la cultura francese, ma la sfida della modernità la intuisce a Milano e la sviluppa essendo Papa: evitare che la frattura tra fede e cultura trasformi l’uomo in un semplice trasgressore. Ecco perché chiede ai cristiani di impegnarsi», aggiunge Bressan. «Se la cultura è strumento dato all’uomo per conoscersi, la Chiesa può diventare la scuola e il tirocinio per fare questo. Per questo il futuro Beato è un grande uomo di cultura, perché permette di auto comprendersi e di costruire altri uomini».

«La prima Caritas nasce nel 1950 su iniziativa del Vaticano quando Montini era in Segreteria di Stato, poiché egli percepì la grande necessità di quel coordinamento da cui scaturirà la Conferenza Internazionale della Carità che, nel 1957, diventa Caritas Internationalis», spiega il vicedirettore di Caritas Ambrosiana, Luciano Gualzetti, che richiama anche la nascita di Caritas italiana nel 1971 come frutto del Concilio. «Montini intercettò spesso, come Sostituto alla Segreteria di Stato, anche la Charitas ambrosiana che aveva già rivendicato una sua autonomia, potendo contare su un Centro per i migranti, uno per la ricerca di lavoro per disoccupati, Colonie e altre attività caritative diocesane».

La questione fondamentale rimane – ben lo si capisce – l’aspetto educativo del “fare carità” con le sue ricadute nelle parrocchie, tanto che Paolo VI lo scrive nel suo primo discorso alla ripresa del Concilio, il 29 settembre 1963, e alla conclusione dell’Assise: «Il Concilio ha avuto come cifra la carità», nota.

Occorre, come infatti indica con chiarezza la Gaudium et Spes, al numero 90, fare della carità “non un erogatore di servizi ma di cambiamento, con una pedagogia dei fatti”.

Sulle periferie di ieri e di oggi si interroga Rosangela Lodigiani, sociologa e curatrice dell’annuale Rapporto su Milano stilato dalla Fondazione Ambrosianeum, che pone quale cifra simbolica del suo intervento le «periferie cittadine, così uguali e così diverse tra il contesto degli anni ’50, in un’epoca di progresso e di progettazione, e l’oggi della crisi».

«Milano, negli anni Cinquanta era una città strutturalmente destinata ad accogliere con le periferie vissute come un passaggio verso percorso di sviluppo, oggi è il contrario, quasi il segno di un inceppamento di questo processo. Occorre riflettere sulla dimensione spirituale delle periferie, perché se allora erano realtà spaziali, ai margini della metropoli, ora, come insegna papa Francesco, sono spesso questione trasversale ed esistenziale. Questo ci riporta al modo con cui Montini ha letto le periferie, si pensi alla costruzione delle Chiese nei quartieri, specie operai, che stavano nascendo, o alla “Missione di Milano” con le sue periferie non solo definite dallo spazio.

Leggere le periferie per Montini come oggi significa mettere al centro la questione antropologica e la domanda di senso delle donne e degli uomini di ogni tempo. Solo lavorando sulle molteplici dimensioni delle periferie, Milano potrà ritrovare una sua anima costruendo un nuovo modello di sviluppo e mettendo al centro un nuovo umanesimo cristiano». Quel “nuovo umanesimo” che è speranza e auspicio anche dell’attuale successore dell’arcivescovo Montini, il cardinale Scola, il quale così, non a caso, vede il ruolo della Chiesa di Milano, la sfida e le prospettive aperte da Expo 2015.

Infine, si presenta il DVD ufficiale per la Beatificazione, disponibile dal 16 ottobre con “Famiglia Cristiana” e “Credere”. Nicola Salvi di Officina della Comunicazione che, con CTV, Rai, Edizioni San Paolo, ha prodotto questo Docufilm inedito di 52 minuti, sottolinea le “chicche”, peraltro evidenti dal filmato; Elisabetta Sola, co-autrice, ne delinea i tre livelli produttivi della sceneggiatura: «le interviste a testimoni e a studiosi competenti, senza la sovrapposizione di una voice over per raccordare gli interventi; il materiale di repertorio che porta alla luce momenti storici importanti, le riprese originali di Brescia, Milano e Roma», giocate con suggestione tra immagini in bianco e nero delle tre città di ieri e di oggi.

«L’attuale Sinodo straordinario dei Vescovi – che sarà appunto concluso dalla cerimonia della Beatificazione – non ci sarebbe stato senza Paolo VI, che papa Francesco cita spesso: senza il suo metodo che fu quello dell’ascolto e del confronto con l’uomo contemporaneo», conclude Annachiara Valle, vaticanista di “Famiglia Cristiana”, che sottolinea le ragioni de DVD, voluto dalle Edizioni San Paolo «legate a papa Paolo VI già nel nome. Un Pontefice amico della stampa e della comunicazione, fondatore di giornali e riviste e al quale fu riconoscente il fondatore, il beato don Giacomo Alberione».