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30 maggio

Montini, i “suoi” scrittori, la “sua” Cattedrale

Monsignor Marco Ballarini e monsignor Marco Navoni anticipano alcuni tratti dei rispettivi interventi che svolgeranno nel corso dell’incontro promosso dal Capitolo dei Canonici del Duomo nel giorno della festa liturgica del Papa Santo

di Annamaria Braccini

26 Maggio 2019
A sinistra monsignor Marco Navoni, a destra monsignor Marco Ballarini

Sono legami intensi e rapporti importanti, quelli che Giovanni Battista Montini coltivò sia con gli scrittori, sia con la “sua” Cattedrale. Proprio su questi due temi si soffermeranno monsignor Marco Ballarini e monsignor Marco Navoni, rispettivamente prefetto e viceprefetto della Biblioteca-Pinacoteca Ambrosiana, due dei qualificati relatori al convegno “Giovanni Battista Montini-Paolo VI. Gli anni della Missione come Arcivescovo di Milano”, in programma il 30 maggio, giorno della festa liturgica del Papa Santo. «Colui che, oltre ogni altro, amava e citava Dante e Manzoni – osserva monsignor Ballarini -. Per quanto riguarda il primo, le citazioni si raccolgono attorno alla figura di Maria, vera Beatrice, venuta “da cielo in terra a miracol mostrare”. I richiami a Manzoni, invece, riguardano soprattutto i Promessi Sposi. Vi sono poi tanti altri autori, non solo italiani: gli amati francesi del “Rinnovamento Cattolico”, ma anche “avversari” come Gide o Camus; gli inglesi da Shakespeare a Virginia Woolf, i grandi russi e, ancora, Schiller Goethe, Mann, Quevedo e Machado».

Vaste letture, quindi, ma anche tanti incontri personali: «L’Episcopio milanese fu forse il luogo più favorevole. Lì Montini parlò per la prima volta con Prezzolini; trovò i multiformi personaggi della rivista Frontespizio; lì Nicola Lisi parlò dei suoi ultimi progetti, fu accolto con affetto Diego Fabbri e trovò ospitalità il tormentato Testori; lì Luigi Santucci, affranto per la morte della madre, ascoltò parole “intime di fraterna carità”, come ebbe a dire lui stesso in una lettera di ringraziamento». «Una cosa che meraviglia sempre, scorrendo l’epistolario montiniano con gli intellettuali – conclude monsignor Ballarini -, è che non si tratta soltanto e neppure principalmente di libri, ma di vita, di problemi piccoli e grandi. Certo, si parla anche di letteratura, ma sullo sfondo resta sempre la grande “paternità spirituale” dell’arcivescovo Montini».

«Amate il vostro Duomo e amate la Chiesa. Se questi due amori coincideranno e resteranno palpitanti e operanti, penso che Milano sarà veramente quello che vuol essere, e cioè sempre cristiana, sempre cattolica, sempre buona, sempre operosa, capace di diffondere, non solo dintorno alla sua area diocesana, ma nella Lombardia, nell’Italia e nel mondo, il santo nome di Cristo e la sua fulgente stella che sta sopra di sé: la Madonnina»: parole di Paolo VI che, a pochi giorni dalla sua elezione al Soglio, così si rivolgeva ai membri della Fabbrica del Duomo ricevuti in Vaticano. Ma come si riferì, l’arcivescovo Montini alla Cattedrale e, soprattutto, quale fu il suo legame con il Duomo? «Alla prima domanda è facile rispondere, basta raccogliere le definizioni che egli stesso ebbe a darne in omelie, scritti, vari interventi – spiega monsignor Marco Navoni, come monsignor Ballarini, anche Canonico della Cattedrale -. Non sono molti dal punto di vista numerico, ma tutti impregnati di rimandi spirituali. Per il futuro Santo, esso è un’“epifania di fede nella sua storia, nella sua bellezza, nella sua posizione centrale al cuore della città”, come disse il giorno dell’ingresso a Milano. Insomma, sono “pietre che cantano, linee che incantano” con la definizione che ho scelto come titolo del mio intervento», continua monsignor Navoni.

Più complesso dire, invece, quale lettura Montini diede del Duomo e quale interpretazione ne propose: «Prima di trovare una risposta chiara e precisa dobbiamo aspettare alcuni anni, fino al 1959, quasi una specie di lungo periodo di silenzio nel quale egli venne elaborando una sua specifica visione e interpretazione della realtà della Cattedrale. Da qui il riferimento che si concretizza in tre testi tra loro in qualche modo collegati: i primi due del 1959, il terzo del 1960. Nella Milano del boom economico, dell’incipiente benessere materiale e del consumismo, il Duomo, nella visione montiniana, diventava, così, un invito a non dimenticare la dimensione religiosa della vita e a vincere l’illusione di poter creare un paradiso su questa terra».

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