Lasciate che io faccia l’elogio della nostra gente.
Conosco la nostra gente,
l’ho vista in piazza del Duomo e l’ho vista nelle chiese,
l’ho vista nelle strade e l’ho vista là dove si lavora e si discute,
dove si studia e dove si patisce, dove si fatica e dove si fa festa.
Conosco la nostra gente e le voglio bene.
Ho stima della nostra gente
e mi commuove quel fare il bene, quel prendersi cura degli altri,
così naturale, come fosse una cosa ovvia,
tanto che se dici: «grazie!», la nostra gente addirittura si sorprende,
come fosse scontato che siamo al mondo per far del bene.
La nostra gente è come quel ragazzo che ha solo due pani
e si sente quasi sopraffatto dal numero degli affamati:
eppure si fa avanti: «Ecco, questo è quello che ho. Può servire?»
Serve! Serve!
Voglio fare l’elogio anche del volto della nostra gente:
hanno il volto serio le donne e gli uomini di Milano.
Certo potrebbero sorridere un po’ di più,
ma hanno il volto serio, come chi considera la vita una cosa seria:
si alza ogni mattina la nostra gente e ricomincia a far funzionare il mondo:
non si stupisce che ci sia da fare,
fare in fretta, fare bene, fare quello che si deve fare.
È gente seria la nostra gente.
Mi impone di essere serio la nostra gente,
anche con quell’inclinazione a “far la tara”,
che diffida dei chiacchieroni e degli esibizionisti,
che legge i giornali senza crederci troppo.
Riconosce invece, per una sorta di sapienza naturale,
quello che vale e chi merita d’essere ascoltato.
E si lascia commuovere – senza piangere, però –
dalla bellezza del suo Duomo, dal virtuosismo della sua musica
e dal cielo che indora la Madonnina.
Voglio fare l’elogio anche del malumore della nostra gente:
ci sono momenti in cui non ne può più
delle complicazioni inutili, delle perdite di tempo senza costrutto,
delle code incomprensibili, delle inefficienze esasperanti.
Merita più rispetto la nostra gente!
Conosco i difetti della nostra gente e le ferite della città,
so dei drammi e delle complicazioni,
della fatica di vivere e della consunzione della speranza,
dell’apprensione per l’inedito e della troppa solitudine,
delle idee strampalate e delle sentenze perentorie.
Però, c’è nella nostra gente, come un istinto per la verità,
una specie di irresistibile inclinazione al buon senso e alla misericordia.
Perciò la nostra gente, con tutti i suoi difetti,
può vincere lo scoramento, far fronte senza far rumore,
risuscitare alla fierezza e consumarsi in una dedizione.
Io faccio l’elogio della nostra gente.
E benedico nel nome di Dio la nostra gente.
C’è, tra la nostra gente, anche chi non sa più che nome invocare.
Ma io benedico tutti,
perché tutti possano alzare lo sguardo,
stare diritti e contrastare l’ingiustizia e la disperazione,
l’illegalità e il qualunquismo,
porre mano all’impresa
di costruire la nuova Milano e l’Europa dei popoli,
e di prepararsi a ospitare il mondo l’anno prossimo.
Concedi, Padre di tutti,
che tutti possano alzare lo sguardo
e sorridere un po’ di più.