«Se la speranza è ciò che anima la missione, noi abbiamo bisogno continuamente di ritrovare motivi di speranza perché la missione sopravviva». Esordisce così Luca Moscatelli, teologo e collaboratore per la Pastorale missionaria, per spiegare il senso dell’XVI Convegno diocesano che si terrà l’11 maggio a Milano. Sarà l’occasione per «lanciare e far nascere il desiderio per l’evento di ottobre, quando per un’intera settimana inviteremo tutti i nostri missionari fidei donum, preti e laici, a ritornare dalla missione per una grande assemblea che permetterà loro di vedersi, conoscersi, raccontare le proprie esperienze, ma soprattutto consentirà alla Diocesi di Milano di incontrare i missionari e sapere ciò che stanno facendo». L’invito sarà rivolto anche a chi ha già concluso la sua esperienza in terra di missione, a chi invece si preparerà a partire e alle congregazioni religiose già impegnate nell’annuncio ad gentes. «Inoltre stiamo pensando di coinvolgere gruppi, movimenti e associazioni».
Il titolo – “Ho un popolo numeroso in questa città” – non è casuale. «L’abbiamo scelto apposta – spiega Moscatelli -. Fa riferimento all’icona di Atti 18,10 quando Paolo, dopo la delusione di Atene a Corinto, inizia a predicare e probabilmente è preso dallo sconforto. Nella notte infatti gli appare il Signore e gli dice: “Non avere paura, continua a parlare perché ho un popolo numeroso in questa città”». La domanda è duplice: dire che Dio ha un popolo numeroso in questa città significa che molti sono destinati a diventare membri della Chiesa, oppure che il popolo numeroso di questa città è il popolo di Dio stesso? È vero che il Vangelo viene annunciato perché molti lo accolgano, ma forse va cambiata la prospettiva e trovare ovunque segni di speranza. «Quando si guarda la gente – chiarisce Moscatelli – si vedono persone alle quali annunciare il Vangelo perché diventino cristiani, membri della Chiesa». Ma la vera sfida della missione «portare l’annuncio a queste persone così come sono e per quelle che sono».
Di fatto si tratta di riconoscere, in quello che è già popolo numeroso e popolo di Dio, quei «segni di speranza» che ancora di più invitano all’annuncio. Non bisogna però dimenticare che «il vero protagonista della missione è lo Spirito», continua il teologo, «che opera (oltre che dentro) anche fuori dalla Chiesa e soprattutto in luoghi che spesso non immaginiamo. In questa prospettiva, il primo scopo della missione non è più quello di aggregare i discepoli alla sequela di Gesù di Nazareth, non immediatamente, piuttosto di osservare come nell’umanità già ci sono persone che vivono, come Gesù ha promesso, aspetti fondamentali della fraternità. In un mondo in cui vige la competitività, l’odio, l’ostilità, l’indifferenza… ci sono persone capaci di occuparsi degli altri, che sanno accoglierli in casa loro, sono attenti agli stranieri, sono teneri con i bambini. Tutti questi sono segni di speranza». Ed è ciò che accadeva anche a Gesù nel Vangelo. «Il missionario fa proprio questa esperienza, che nutre la sua missione e motiva quella di tutti. Poi certo, c’è anche l’annuncio esplicito dell’evangelo, l’invito ad aggregarsi alla sequela di Gesù». Ma non dobbiamo rimanere delusi «se siamo in “quattro gatti”, perché siamo il piccolo gregge e forse siamo destinati a rimanerlo sempre, a fronte di un popolo numeroso, che è l’umanità alla quale siamo mandati per dire che Dio li ama, così come sono e là dove sono».
In questo Anno della fede, il convegno sarà l’occasione per parlare della nostra fede, ma anche di quella di Gesù, «perché se Gesù è povero è perché Dio è povero, se Gesù è servo è perché Dio è servo, se Gesù crede è perché Dio crede. Questo è l’unico fondamento che può farci resistere in quella che Paolo chiama “la speranza contro ogni speranza”, perché lui non smetterà mai di credere in noi e questo è sorprendente». Un convegno a Milano su temi biblici e guardando all’esperienza missionaria ad gentes «ha come obiettivo principale quello di aiutare la nostra gente a ritrovare, nell’animazione missionaria delle parrocchie e dei gruppi, le motivazioni per guardare con speranza e con fiducia al futuro, perché la fiducia nel futuro è la fiducia in Dio».