Nei 5 mila e 300 volontari che hanno contribuito a organizzare il VII Incontro mondiale delle famiglie a Milano, uno su 10 è nato all’estero. Ma in realtà, di costoro (oltre 500 persone) solo un terzo, ha dovuto macinare migliaia di chilometri, a volte decine di migliaia di chilometri, per raggiungere il capoluogo lombardo. Due terzi dei volontari non italiani, erano stranieri solo sul passaporto e per prestare servizio nei giorni dell’incontro hanno dovuto prendere tutt’al più un tram.
Effetto della globalizzazione, che ha portato a Milano cittadini da tutto il mondo. I quali, nell’occasione di questo grande evento internazionale, hanno voluto dare il loro contributo; ribadendo, se ancora ce ne fosse bisogno, quanto siano parte attiva della città. I volontari migranti e gli immigrati volontari, insieme naturalmente al milione di pellegrini provenienti da 153 Paesi, hanno composto quel mosaico multietnico che si è riunito per una settimana nella capitale della moda e del design, trasformata proprio dalla loro presenza, prima ancora dell’arrivo di Benedetto XVI, nella capitale della famiglia. E non è nemmeno casuale che in questo mosaico, come in un variopinto caleidoscopio, un pezzo richiamasse un altro. Per cui, la composizione etnica della città e quella del popolo dei volontari sono risultate quasi del tutto sovrapponibili. Dopo i filippini, il gruppo nazionale più numeroso in città, infatti, la parte del leone l’hanno fatta i sudamericani, regalando ai tantissimi milanesi e lombardi che si sono rimboccati le maniche in quei giorni – la stragrande maggioranza naturalmente – il respiro di una fede senza confini nazionali.
Che cosa significhi appartenere a una Chiesa universale lo racconta bene la storia di Daniela Gutiérrez de Velasco, spinta dalla fede a diventare cittadina del mondo ad appena 19 anni. Famiglia a Veracruz (Messico), studi a Firenze e a Saragozza. «Ho vissuto quei giorni in un convento, con altre ragazze, come me, messicane e spagnole. È stato come ritrovarsi in un’altra famiglia: sono stata molto colpita dall’amicizia e dalla familiarità che è nata spontaneamente tra persone che si conoscevano per la prima volta. Tutti si aiutavano sempre con il sorriso sulle labbra. Quando poi è arrivato il Papa, il clima di unione fra la gente è arrivato al massimo. In quel momento capisci che la Chiesa del mondo è una sola grande famiglia. Un’esperienza di grande intensità».
Arlene Aguila, 45 anni, a Milano è arrivata 20 anni fa dalle Filippine. Dopo aver trovato un lavoro, ha chiamato il marito e i due figli più grandi. La terza ha deciso di farla nascere all’ombra della Madonnina. «Mi sembrava giusto dare il mio contributo perché si sentissero un po’ a casa loro i tanti miei connazionali e i fedeli che da tutto il mondo si sono messi in viaggio per il Papa proprio nella città che mi ha accolto tanto tempo fa – racconta -. E poi lavorando fianco a fianco anche con tanti milanesi per organizzare un grande evento che coinvolgeva tutta la città mi sono sentita un po’ più milanese anche io. Avere vissuto metà della mia vita nelle Filippine e l’altra qui è stata per una volta un vantaggio. Dovrebbe essere sempre così».