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Intervista

Merisi: «I cristiani devono sentirsi parte viva dell’Europa»

Il Vescovo emerito di Lodi, già delegato Cei al Comece, riflette sulla vigilia elettorale: «Un’occasione per informarsi, prendere consapevolezza e offrire il proprio contributo. Le Chiese possono dare una testimonianza chiara»

di Annamaria BRACCINI

12 Maggio 2019
Monsignor Giuseppe Merisi a fianco dell'Arcivescovo durante l'evento ecumenico “Insieme per l'Europa” del 9 maggio a Milano

Il momento che l’Europa sta vivendo è di grande difficoltà, inutile negarlo: basti pensare ai rinascenti sovranismi. Eppure non mancano segni di primavera, di rinascita, che possono trovare nelle elezioni dell’Unione un’occasione preziosa di crescita. Ne è convinto monsignor Giuseppe Merisi, vescovo emerito di Lodi e già delegato della Conferenza episcopale italiana alla Commissione degli episcopati dell’Unione Europea: «Credo che la consultazione elettorale del 26 maggio sia rilevante per aiutare ciascuno di noi e tutte le nostre comunità a riflettere sul tema. Significa, anzitutto, avere un’occasione in più per conoscere quando è nata l’Europa, il profilo di Padri fondatori come Schuman, De Gasperi e Adenauer, e i principi che hanno presieduto sia l’origine, sia il cammino europeo in questi anni».

È necessario essere più consapevoli riguardo la struttura organizzativa dell’Unione?
Certamente, perché questo vuole dire anche saper distinguere le difficoltà interne all’Europa da quelle che, invece, derivano dalla problematica convivenza negli e degli Stati. Occorre conoscere meccanismi, strutture e competenze. Se rileggiamo i testi fondativi dell’Ue, vediamo che tutto ciò che giustamente riteniamo importante – la giustizia, la libertà, la solidarietà, l’uguaglianza – è già previsto in questi trattati, da mettere ora in pratica. Quindi, in primis, conoscere; poi, sapere quali sono le prospettive e gli orientamenti, impegnarsi e, ancora, avere consapevolezza dei problemi, in modo che, anche con la nostra partecipazione, si possa fare di più. Oltretutto credo che sia utile qualche capacità di guardare a tutto questo con serenità.

Qual è il ruolo delle Chiese?
Attraverso la Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità Europea (Comece) possiamo arrivare a dare, all’Europa, suggerimenti, consigli e una testimonianza chiara. Così come esistono strumenti fondamentali quali il Consiglio delle Conferenze episcopali europee. Poi, c’è Caritas Europa e la presenza di Associazioni e movimenti ecclesiali articolati anche a livello europeo. La strada è sentirsi parte viva dell’Europa, cittadini europei, dare il proprio contributo, anche critico là dove le cose non vanno.

Ci sono anche temi simbolici su cui insistere, come ha richiamato l’Arcivescovo?
Qualche settimana fa ho ascoltato un bell’intervento del professor Valerio Onida, presidente emerito della Corte Costituzionale, che ha detto: «Ricordiamoci sempre che c’è una Giornata dell’Europa, il 9 maggio; un motto, “Uniti nella diversità”; una bandiera, con dodici stelle e un Inno». Si deve sapere andare oltre i segni, ma indicandoli nel loro giusto valore. Siamo ormai in tanti: bisogna tenersi per mano e aiutarsi vicendevolmente con grande passione, sia con la solidarietà interna, sia nei confronti delle zone meno favorite dell’Unione.

I cristiani non possono che essere europeisti, considerando il Magistero?
È impossibile dimenticare il contributo portato sia dai Pontefici – da Pio XII a Francesco, ribadito anche nel recentissimo viaggio in Macedonia, sia dai nostri Pastori ambrosiani, da san Montini al cardinale Martini, presidente del Ccee per tanti anni, fino all’attuale Arcivescovo, intervenuto più volte opportunamente su questi temi.