Investire nella tv per bambini, da un punto di vista strettamente economico, non conviene. I responsabili delle maggiori emittenti europee lamentano il fatto che sia molto difficile vendere gli spazi pubblicitari all’interno delle trasmissioni per ragazzi, anche per quanto riguarda quelle di maggior successo. I giovanissimi, infatti, sembrano essere un pubblico poco appetibile per le grandi industrie e il motivo è presto spiegato: in famiglia sono i genitori, e non i ragazzi, a scegliere cosa acquistare.
di Filippo Magni
Se le reti televisive hanno interesse a rendere lo spettatore affezionato a un’emittente piuttosto che a un’altra fin da piccolo, ciò è legato ad un’ottica commerciale proiettata verso il futuro, quando il bimbo diventerà un adolescente o un adulto con la possibilità di gestire le proprie finanze. In ottica commerciale, per dirla in parole povere, un telespettatore in età da scuola elementare “rende” poco alle reti tv, che quindi sono meno stimolate ad investire grandi somme per programmazioni dedicate all’infanzia.
La povertà degli investimenti sembra dunque essere il grande problema della tv per bambini in Europa, con alcuni casi maggiormente preoccupanti quali per esempio la situazione dei broadcaster inglesi: la legge “anti-obesità” approvata lo scorso anno dal governo Blair ha vietato la pubblicità delle merendine, che rappresentavano uno dei maggiori introiti negli spazi promozionali delle trasmissioni per i giovanissimi, costringendo di fatto alla chiusura diversi programmi che proprio su quelle pubblicità basavano la propria sussistenza.
Tale scarsità di fondi ha portato, come è facile intuire, a un impoverimento dell’offerta per i ragazzi: sono sempre meno le reti che producono programmi da sé e sempre più quelle che acquistano pacchetti preconfezionati all’estero (per lo più negli Stati Uniti), con la conseguenza di proporre ai bambini modelli culturali e sociali che non appartengono alla realtà dello Stato in cui vengono proiettati e che dunque i ragazzi sentono lontani.
Il fattore economico limita anche molto la sperimentazione, è raro che si tenti di inventare qualcosa di nuovo, ma si tende sempre più a copiare modelli d’oltreoceano o a riproporre format vecchi e poco allettanti per i ragazzi di oggi, con la conseguenza che i bimbi preferiscono vedere la tv in prima serata con i genitori piuttosto che nelle ore del pomeriggio, quella “fascia protetta” che tradizionalmente dovrebbe essere riservata ai piccoli. Qualche tentativo di innovazione è presente in Europa, ma spesso tali programmi sembrano guidati dalle leggi del (poco) mercato piuttosto che da un progetto educativo e formativo che stia alla base della trasmissione.
Pare dunque evidente che la leva economica offerta dal mercato non è sufficiente per stimolare le emittenti a puntare sulla programmazione di qualità per i ragazzi e dunque la proposta che maggiormente è diffusa è che siano i Governi a spingere le reti tv a una programmazione a misura di bambino, offrendo loro dei vantaggi economici quando il piccolo schermo, oltre che intrattenere, svolge anche il compito di formare i ragazzi.