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Ragazzi

«Lo sport obbligatorio del lamentarsi toglie speranza: impariamo a essere felici»

L’Arcivescovo è intervenuto alla serata dedicata al progetto “Le Ali” promosso dal Decanato di Carate Brianza, presso il CineTeatro “L’Agorà”, in riferimento al “Discorso alla Città” 2021 e in vista della Settimana dell’Educazione

di Annamaria BRACCINI

15 Gennaio 2022

La gentilezza dell’educare, con un evidente richiamo al Discorso alla Città 2021, che diviene, nella serata a questo tema dedicata presso il CineTeatro “L’Agora” di Carate Brianza, un modo privilegiato per parlare di tanti problemi attuali, del rapporto tra genitori e figli, dei ragazzi, delle loro complessità di crescita e relazionali, oggi aggravate dalla pandemia.
Al cuore dell’incontro – svoltosi con la presenza dell’Arcivescovo, cui erano accanto il vicario di Zona V, monsignor Luciano Angaroni, il decano, don Sergio Stevan, i sacerdoti e il direttore di Caritas ambrosiana, Luciano Gualzetti – un bilancio del progetto della Comunità educante decanale “Le Ali”, presentato, con l’aiuto dell’equipe di operatori e in vista della Settimana dell’Educazione, in particolare riferimento alla rete di soggetti sostenitori, alle attività svolte nel 2021, ai tipi di bisogno intercettati, alla loro diffusività, alle modalità di presa in carico. Notevole l’incremento degli interventi, realizzati sul territorio intercettando, appunto, bisogni non rintracciati dai Servizi sociali, ma segnalati dalla rete del progetto, spesso, in collaborazione con Caritas. Se nel 2020 le famiglie sostenute erano 38, nel 2021 sono salite, infatti, a 60 e si è deciso, quest’anno, di ampliare la sinergia con altre realtà territoriali.

Le testimonianze

Dopo la lettura di un primo stralcio del “Discorso”, sul palco si alternano i racconti di due casi concreti, come quello di «Rebecca 16 anni, con problemi di dislessia, molta paura, rabbia e un forte malessere emotivo», resa più sicura di sé, «più libera dalla dipendenza genitoriale e aiutata a trovare la sua acqua corallina, il suo oceano, per abitarlo».
E, ancora, la storia di Pietro, padre di Giovanni, 15 anni, e di una bimba di 6, che si accorge, ben prima del virus, del crescente isolamento del figlio che inizia ad andare male a scuola e vive attaccato al computer, confidandosi solo con Mattia, un coetaneo di Roma. Fondamentale la presa in carico, in questa situazione, del nucleo familiare «lavorando sulle fragilità anche del padre. Così Giovanni cambia scuola, le cose ora vanno meglio anche per papà Giovanni che si è messo lui stesso in gioco».
Insomma, come viene ancora detto, “Le Ali” intende rispondere alla richiesta di aiuto attraverso un servizio che va incontro al territorio e alle famiglie – con le principali problematiche dell’abbandono scolastico e delle conflittualità familiari – «perché prima identifichiamo un problema e prima lo instradiamo in un percorso di cura».

Il dialogo con l’Arcivescovo: costruttori di speranza

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Un secondo brano del “Discorso” introduce il dialogo con il Vescovo attraverso domande poste dalla moderatrice e dal pubblico. «Propongo la gentilezza come stile – chiarisce subito il vescovo Mario -; non è solo educazione, ma è un modo di essere fiduciosi e artigiani buoni, come siete voi. Non è la gentilezza che salverà il mondo, ma il Signore, però la gentilezza è un modo di accogliere il suo messaggio. La terapia individuale è importante, ma ciò che aiuta una persona a crescere è la relazione. La dinamica della fraternità e del costruire comunità fa attraversare il bosco facendo sentire che c’è un sentiero verso la terra promessa».
Ma come far maturare negli adulti il coraggio di essere testimoni credibili?
«Voi che siete qui sapete dare risposte», osserva il Vescovo. «Gli adulti sono capaci di spingere alle spalle i giovani, ma, talvolta, sono reticenti sulla meta che merita di essere sperata. Mi pare che, oggi, gli adulti si siano specializzati nella tristezza, e, quindi, i ragazzi pensino che non valga la pena di diventare grandi. Lo sport obbligatorio del lamentarsi toglie speranza a chi si affaccia alla vita. Perché i giovani non pensano alla bellezza di diventare genitori? Perché ora i padri e madri non godono di una bella immagine. Il tema che dobbiamo custodire è quello di dare un futuro con speranza che significa credere a un Dio che dà fiducia al mondo. Noi cristiani abbiamo la certezza che esiste una terra promessa, anche se talvolta attraversiamo il deserto. Essere testimoni della speranza significa fidarsi della promessa. Se il mondo cancella Dio, cancella la possibilità stessa che vi sia una speranza. Dobbiamo essere contenti di noi stessi non per una specie di idealizzazione: certo, abbiamo fatto degli errori, ma abbiamo fatto anche del bene. Un ultima cosa che raccomando è l’arte della conversazione per parlarsi tra genitori, figli, nonni, nipoti, senza dire banalità o dare solo ordini, ma dandosi tempo reciproco e raccontandosi».

La scuola e l’emergenza educativa

Ma come traboccare verso il futuro in questo momento di catastrofe educativa, per usare un’espressione di papa Francesco, e come la scuola può aiutare in questo? Chiara la risposta dell’Arcivescovo.
«Oggi pare che esista, anche nel contesto scolastico, solo la pandemia, ma io mi permetto di dire che nella scuola ci devono essere insegnanti che pensano che la loro materia meriti di essere studiata. Ogni disciplina ha aspetti entusiasmanti. Abbiamo tanti problemi ma, ad esempio, qui vedo possibilità straordinarie se teniamo presenti 3 aspetti: che gli adulti siano contenti, che si sia convinti di ciò che si insegna, che la scuola faccia rete».
«Io vedo dei giacimenti d’oro. Ho compiuto la Visita pastorale in questo Decanato e ho visto gente che si dava vicendevolmente una mano; quest’estate ho visto l’oratorio feriale, una vera miniera d’oro. Sono andato in alcune aziende e ho ascoltato cose bellissime per il rispetto della salute dei dipendenti e il bene del territorio: c’è gente che dà da mangiare a tante famiglie, lavorando e promuovendo un ambiente sano. Poi ci sono le forme di attenzione ai più deboli, ai disabili. Forse dobbiamo solo trovare il modo di fare attenzione a queste pepite, più che parlare ossessivamente solo di scandali o di fatti criminosi, perché la visione pessimista ingrigisce l’oro della vita. Alziamoci al mattino ringraziando. Dobbiamo prevenire i problemi dei nostri ragazzi, ma soprattutto la comunità educante, fatta di tante diverse generazioni e realtà, deve essere il villaggio che fa crescere; deve generare un domani promettente, un futuro desiderabile, essendo positiva, propositiva e permettendo di realizzare a ognuno la propria vocazione. Insegniamo a pregare e a dire che è si è grati. Questo è un tema decisivo ed è il fondamento».