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Trezzano sul Naviglio

L’impegno della Chiesa locale:
«Un tessuto sociale da ricostruire»

Don Franco Colombini, parroco di Sant’Ambrogio Vescovo e Dottore nel Comune commissariato quattro volte per infiltrazioni mafiose, parla delle iniziative promosse sul fronte della formazione alla legalità

di Marta VALAGUSSA

27 Ottobre 2013

Don Franco Colombini, classe 1950, da sedici anni è parroco di Sant’Ambrogio Vescovo e Dottore a Trezzano sul Naviglio. Un sacerdote abituato a lavorare nelle zone più difficili: per dieci anni, infatti, è stato cappellano del carcere di Opera. Ora vive in un Comune, Trezzano, che è stato commissariato quattro volte per infiltrazioni mafiose: l’ultima nello scorso mese di maggio. Gli abbiamo chiesto come vive in questa comunità e come sta cercando di aiutare la popolazione in questa situazione. «Nell’animo delle persone c’è delusione e sfiducia totale nei confronti delle istituzioni. Stiamo cercando di ricostruire questo tessuto sociale, con grande fatica. La città chiede di essere governata da persone serie e affidabili. Il disagio sociale è diffuso».

Che tipo di realtà è quella di Trezzano sul Naviglio?
Il nostro paese è spaccato. In diversi modi: dai Navigli, dalla ferrovia, dalle strade. Ma anche tra le persone. Esistono diversi gruppi socio-politici, che però sono in rapporti conflittuali tra loro. Si impegnano per una politica “contro” l’altro, non per una politica propositiva. Nessuno è disposto a dare un contributo positivo alla città. Bisogna imparare che si può fare opposizione in modo sereno, da uomini di buona volontà. Ecco, questo clima di serenità non esiste, c’è molto odio reciproco.

Insomma, si tratta di una società che deve riconciliarsi…
Esattamente, dobbiamo ridare un’anima a questa comunità, trasmettere l’idea che vale la pena mettersi in gioco e affrontare il futuro con entusiasmo e positività.

Quando il Comune dimostra di non essere degno della fiducia dei cittadini, e quindi viene meno la figura dell’istituzione, quale realtà può occuparsi della formazione delle persone?
Di certo solo la parrocchia! Esistono i comitati di quartiere, ma formano le persone solo su questioni tecniche e le modalità sono ancora molto faziose. La Chiesa è l’unica a preoccuparsi della formazione della persona nella sua interezza, a cominciare dai valori.

Nello specifico, in che modo la sua parrocchia si è presa a cuore la formazione dei laici?
Abbiamo deciso di far trascorrere un po’ di tempo dall’ultimo commissariamento, per placare gli animi che erano infervorati. Alla fine dell’estate abbiamo pensato di proporre incontri e iniziative di formazione alla legalità. Il primo si è svolto in questo mese con la partecipazione di don Walter Magnoni, che ci ha aiutato a leggere la nostra situazione alla luce dell’Anno della fede. La comunità ha preso atto del male, degli sbagli commessi dai politici e della sofferenza comune. Non è emerso alcun giudizio negativo, ma semplicemente l’espressione di un disagio interiore. C’è molto desiderio di recuperare e ricostruire una società che finora ha molto deluso.

I prossimi incontri mensili su cosa verteranno?
Soprattutto sulla preparazione al voto. In primavera ci saranno le elezioni, in concomitanza con quelle europee. Abbiamo l’obiettivo di preparare le persone a ritrovare valori comuni condivisi. E a impegnarsi in prima persona per attuarli concretamente nella vita cittadina. I temi che affronteremo sono tanti: legalità, territorio, lavoro, famiglie, immigrazione…

Anche i giovani sono sensibili a questi incontri?
La nostra realtà giovanile è molto delicata. I giovani qui sono spesso allo sbando, vittime di droghe e stupefacenti che in questa realtà circolano con molta facilità. Ma è anche per loro che vogliamo formare persone che possano risolvere il loro disagio e ridare una speranza alle nuove generazioni.