«Chiesa domestica» è un’espressione che appare desueta. Eppure ha una sua forza, che va riscoperta: chiamare la famiglia «Chiesa domestica» significa, infatti, ribadire che la rete di relazioni tra genitori e figli è la prima culla della fede e, al tempo stesso, richiamare che la Chiesa, come comunità dei credenti, nasce sul modello della famiglia, come, peraltro, Benedetto XVI ha esplicitamente affermato nel corso dell’omelia di Bresso.
Vorrei qui riproporre due passaggi, di altrettante relazioni svolte nel corso del Congresso teologico-pastorale, focalizzati proprio sull’espressione «Chiesa domestica». Il priore di Bose Enzo Bianchi nel corso di un intervento dedicato al rapporto tra famiglia ed Eucaristia domenicale, l’ha fatto in questi termini: «Giovanni Crisostomo diceva ai cristiani: “Fate della vostra casa una chiesa”, e Agostino parlava di “chiesa domestica”, perché c’è analogia tra chiesa e famiglia». E ha aggiunto: «È stato un mio grande amico, il vescovo di Prato monsignor Pietro Fiordelli, che ha fatto introdurre nella Lumen Gentium queste parole: “In questa che si potrebbe chiamare chiesa domestica (In hac velut ecclesia domestica), i genitori devono essere per i loro figli i primi maestri della fede e assecondare la vocazione propria di ognuno”. Genitori affidabili, credibili in quanto muniti dell’autorevolezza dovuta alla loro coerenza tra il dire, il vivere e il sentire, possono preparare il terreno, predisporre tutto affinché la fede da loro trasmessa ai figli come fiducia forte, come capacità di credere, possa accogliere il dono di Dio. Se dei genitori sanno mostrare la loro fede in Dio e in Cristo, e dunque mostrano Dio e Cristo come affidabili, anche i figli si eserciteranno a credere».
Anche il cardinale Sean O’Malley, vescovo di Boston, ha insistito sulla necessità che la famiglia diventi «Chiesa domestica». Rivolgendosi ai genitori, così si è espresso durante la sua applaudita relazione: «Voi siete i primi maestri della fede per i vostri figli. Il vostro esempio di fedeltà alla Messa domenicale, la preghiera e la moralità parlano più eloquentemente dell’omelia di qualsiasi sacerdote. Troppo spesso i genitori “vanno a Messa per i bambini” e i bambini vanno perché “il papà e la mamma mi portano”. Esprimete ai vostri figli il vostro amore per Gesù; la ragione per cui partecipate alla Messa domenicale come famiglia e la ragione della loro istruzione nella fede a scuola o al catechismo è uno dei doni più importanti che potete fare loro». Ai papà, inoltre, O’Malley ha indirizzato un richiamo particolarmente appassionato: «Studi e ricerche – ha detto – indicano che i bambini praticano la loro fede più regolarmente quando vedono che il papà e la mamma la vivono insieme. Questi stessi studi indicano anche che è la pratica di fede del papà che aiuta di più, sia i ragazzi che le ragazze, nel vederla come un’attività importante per gli adulti. Perciò, in modo particolare, chiedo a tutti i papà di essere fortemente impegnati nella formazione della fede e di prendere in considerazione di offrirsi come catechisti nei programmi di educazione religiosa».
Un appello quanto mai opportuno, in una Chiesa che, come il mondo della scuola, appare spesso «sbilanciato» sul versante femminile; un richiamo alla responsabilità dei padri che, in nessun modo, possono appaltare alle mogli l’educazione alla fede.
(3. continua)