Un rinnovato invito alla politica, a “tutti i politici”, perché prendano a cuore il destino della gente, degli italiani, oggi messi a dura prova dal perdurare e anzi dall’aggravarsi della crisi: è quanto emerso dalla 65ª Assemblea generale della Cei, che ha riunito questa settimana a Roma i vescovi di tutte le 226 diocesi italiane. Ne ha parlato con grande franchezza e senza mezzi termini il presidente della Cei e Arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco, nella tarda mattinata di venerdì 24 maggio, all’interno della tradizionale conferenza stampa finale sui lavori dove solitamente si registra un “pienone” di giornalisti della carta stampata, tivu, radio e agenzie.
Il Cardinale ha ricordato il «disorientamento psicologico delle famiglie, l’alta percentuale di disoccupazione specie giovanile, la delusione a fronte di promesse di legalità sistematicamente disattese, l’inaccettabile sperequazione di risorse tra iper-garantiti e nuovi poveri, il degrado delle carceri, la condizione esposta degli immigrati». Fenomeni che, già gravi presi uno per uno, possono diventare esplosivi se sommati a una crisi che non cessa. Così il presidente dei vescovi ha voluto ribadire l’appello ai responsabili della cosa pubblica, «perché pensino al Paese e alla gente reale senza ulteriori distrazioni né populismi inconcludenti e dannosi, ma ponendo ciascuno sul tavolo le migliori risorse di intelletto, competenza e cuore». Un invito ad andare oltre i tatticismi, le lungaggini, i veti incrociati che hanno sin qui contraddistinto questo momento politico così convulso e magmatico.
Il Cardinale ha poi proposto una particolare interpretazione della crisi industriale in atto, soffermandosi proprio sull’industria e non sugli altri settori produttivi (agricoltura, servizi, turismo). «Il nostro Paese sembra comportarsi come le famiglie in difficoltà che nei momenti più difficili mettono in vendita i gioielli migliori – ha affermato -. Ebbene, è un problema di cui si parla da anni, che oggi va affrontato, perché temo che se l’unica strada da scegliere sia quella di ripianare finanziariamente i buchi, vendendo le industrie migliori che sono da decenni il vanto del nostro Paese, allora le conseguenze potrebbero essere molto gravi». Il Cardinale ha quindi ulteriormente riflettuto su questo rischio, definendo la scelta di vendere i “gioielli di famiglia” come «un approccio limitato», facendo anche riferimento alla «sua cara città di Genova e in genere alla situazione del nord Italia». «Invece – ha poi concluso – occorre affrontare il problema con una sensibilità sia finanziaria sia industriale, e non in maniera contrapposta. Diversamente il Paese rischia di perdere molto della “genialità” produttiva che ci riconoscono nel mondo».
Un altro aspetto che è stato molto dibattuto in assemblea è stato quello delle sorti delle scuole cattoliche. Il Cardinale ha voluto esprimere un caldo invito ai giornalisti: «È sbagliato parlare di “scuola privata”, riferendosi alla scuola cattolica, perché bisogna parlare di “scuola paritaria” in quanto inserita a pieno titolo, accanto alle scuole statali, nel sistema scolastico pubblico del nostro Paese». Prendendo lo spunto dal referendum di domenica prossima a Bologna per il mantenimento o meno dei contributi comunali agli asili “paritari”, ha sottolineato come «i genitori hanno il diritto, fondamentale e inalienabile, di poter educare i propri figli scegliendo le scuole che meglio incarnano i principi in cui credono e che siano riconosciute nel sistema pubblico. Con la crisi odierna tuttavia succede sempre più spesso che tale diritto di fatto viene negato, perché le famiglie non ce la fanno più a pagare le rette, specie le famiglie più povere. E così capita di vedere che in molti di tali asili, ad esempio, le suore pur di non togliere il loro servizio, tengono in piedi la scuola usando le loro pensioni». È stato così confermato che si terrà a Roma, nella primavera 2014, una grande mobilitazione a sostegno della scuola cattolica, presente il Papa.
Circa i fondi “8 per mille”, il presidente dei vescovi ha informato che per quest’anno scendono a 1,032 miliardi (rispetto a 1,148 dello scorso anno), con conseguenti “tagli” su alcune voci (carità, culto e pastorale, edilizia di culto e esigenze di rilievo nazionale).