«Un attento osservatore, pronto a segnalare le preoccupazioni e a richiamare la classe politica alla prudenza in diverse questioni. Assiduo mediatore e amichevole accompagnatore della Chiesa di Polonia e di tutta la Nazione». È trascorso un secolo, ma pur nella più ampia dimensione di un’intera vita dai contorni poliedrici e straordinari, è difficile dimenticare anche il periodo dell’Achille Ratti nunzio apostolico in Polonia. Tanto che, nell’inaugurare, presso la sede della rappresentanza pontificia a Varsavia, la statua proprio di colui che sarebbe divenuto, poi, papa Pio XI, l’arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto della Segreteria di Stato, così ne ha richiamato la figura in quel cruciale e delicatissimo incarico. Che, a 100 anni di distanza, verrà ricordato anche dalla presenza dell’Arcivescovo a Varsavia.
Primo nunzio apostolico nella Seconda Repubblica Polacca, l’allora monsignor Ratti rivelò, in effetti, doti da gran diplomatico, scrivendo una fondamentale pagina nella storia dei rapporti tra la Santa Sede e la Polonia, anche se il suo era, fino ad allora, un curriculum da studioso. Basti pensare alla carica di Prefetto della Biblioteca Ambrosiana, ricoperto dal 1907 e a quella di prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, che guidò dal ’14. Tuttavia, a ben guardare, già si poteva intuire la capacità rattiana nel contesto diplomatico, se si pensa che, nel giugno 1891 e nel 1893 fu invitato a partecipare ad alcune missioni, al seguito di monsignor Giacomo Radini-Tedeschi in Austria e in Francia.
Insomma, Benedetto XV aveva visto giusto e lontano nominandolo con «provvidenziale decisione» già il 25 aprile 1918, visitatore apostolico per la Polonia (ancor prima dell’indipendenza della Seconda Repubblica, nata l’11 novembre) e per la Lituania e, successivamente, nel 1919, Nunzio.
L’obiettivo, d’altra parte, era chiaro: tra le tragedie degli ultimi mesi della Grande guerra e i nuovi assetti definiti dal Trattato di Versailles, Ratti avrebbe potuto osservare l’evolversi delle situazioni in una delle zone europee nevralgiche e più complesse, come sempre sono state la contesissima Polonia e i Paesi baltici. Ed è, allora, particolarmente emblematico pensare che il visitatore Ratti sia entrato a Varsavia, occupata dalle truppe germaniche e che il Nunzio, nel 1920, fu costretto, nonostante il suo desiderio di rimanere, a lasciare la città per l’imminente attacco dei sovietici.
Nominato Arcivescovo nell’estate del 1919 da papa Benedetto XV, Ratti venne consacrato il 28 ottobre 1919 dall’arcivescovo di Varsavia Aleksander Kakowski, con una solenne Celebrazione e «grande concorso di popolo», come raccontarono le cronache del tempo e come lo stesso Pio XI, ricordava dicendo spesso di «essere un Vescovo polacco».
Quello che venne poi, non fu un periodo sempre facile per il Nunzio, con la situazione politica in bilico, le questioni aperte tra tedeschi e polacchi (anche a livello ecclesiale ed episcopale) e con le relative amarezze che ne trasse il nunzio Ratti. Come accadde quando, quale rappresentante super partes della Chiesa, venne nominato, dal Papa, Alto Commissario ecclesiastico per il Plebiscito nell’Alta Slesia, attraverso cui i cittadini avrebbero dovuto scegliere fra l’adesione alla Polonia o alla Germania. Per una serie di complesse ragioni, fu ingiustamente accusato dalla stampa polacca di essere filotedesco. Tuttavia, i successi furono molto più importanti, come ottenere la liberazione di Eduard von der Ropp, arcivescovo di Mahilëu, arrestato dalle autorità sovietiche nell’aprile del 1919. Inoltre, «di fondamentale rilievo, anche in prospettiva, resta il viaggio diplomatico che portò monsignor Ratti, all’inizio del 1920, in Lituania.
Il 4 giugno 1921 il Nunzio lasciava la Polonia. Di lì a nemmeno 10 giorni, il 13 giugno, sarebbero arrivate la nomina ad Arcivescovo di Milano e l’elevazione alla Porpora. Ancora pochi mesi, e Achille Ratti saliva al Soglio. Era il 6 febbraio 1922. Ma questa, come si dice, è tutta un’altra storia.