Se ci concentriamo sulla parabola del buon seme e della zizzania e ci chiediamo che cosa intende dirci Colui che, con sapiente fantasia, l’ha raccontata, occorre anzitutto evitare un equivoco: pensare che qui si parli anzitutto della zizzania. Gli stessi discepoli vi sono caduti, quando hanno chiesto a Gesù: «Spiegaci la parabola della zizzania nel campo».
Appunto: la zizzania! Questo campo che è il mondo non è in primo luogo un terreno pieno di zizzania. Certo, la zizzania c’è, ma sarebbe davvero ingiusto partire da qui. Il campo di cui la parabola parla è un buon terreno, coltivabile e fecondo, patrimonio di un proprietario che ha piena consapevolezza del suo valore; il campo è inoltre un terreno nel quale questo stesso padrone ha personalmente seminato del buon seme: il seme poi è cresciuto e ha prodotto il frutto desiderato. La zizzania non ha impedito che tutto questo avvenisse. L’accento dunque cade qui: il campo che è il mondo è sin dall’origine una realtà buona e feconda di bene, che il Creatore ha fatto esistere con sapienza e con simpatia. La bellezza di cui il mondo partecipa non sarà mai annientata dal male che lo ferisce. Il bene, lo sappiamo, fa meno notizia, ma è decisamente più forte del male; il bello rischia di essere scontato e di passare in secondo piano, ma quando se ne fa l’esperienza lascia il segno.
Siamo rattristati e delusi dai tanti comportamenti discutibili che vediamo, ma che soddisfazione quando ci imbattiamo nei segni dell’amore sincero: il gesto affettuoso della madre per il proprio bambino, il suo sorriso riconoscente, il forte abbraccio tra amici, la stretta di mano tra colleghi che si stimano, la presenza silenziosa e premurosa ai piedi di un letto d’ospedale, la lettera di ringraziamento di uno studente al suo professore, l’aiuto dato al povero con simpatia e generosità, la collaborazione onesta e intelligente tra soci in affari, l’accordo raggiunto nell’interesse comune e per il bene di tutti tra enti e società che danno lavoro a tanta gente, la coraggiosa contestazione di un’ingiustizia, l’accoglienza generosa di chi si potrebbe essere considerato semplicemente uno straniero, l’impegno civile e morale di chi accetta con coscienza la responsabilità di guidare un’amministrazione. Quanto bene, quante persone oneste e sane, che lontano dalle luci della ribalta offrono con naturalezza una testimonianza di vera umanità. Forse è proprio questo il punto da cui partire: il Vangelo è già qui, in questa umanità che semplicemente cerca di essere se stessa e, a volte senza saperlo, fa felice il suo Creatore.
da Avvenire, 02/11/2013