Vale la pena di sostare ancora sulla parabola che fa da sfondo alla Lettera pastorale di cui stiamo parlando: buon grano e zizzania nel campo.
Se la zizzania non va considerata la realtà principale, su cui puntare l’attenzione, è pur vero che essa esiste. In questo campo che è il mondo non tutto è buon seme e buon frutto. La zizzania, erba infestante e parassita, allude a una realtà presente e ben visibile, la quale nulla ha a che vedere con Dio, il Santo, e con il suo progetto sul mondo. La zizzania viene da un nemico che nella spiegazione di Gesù è qualificato come «il diavolo», colui che separa, divide, contrappone. Si tratta del male che, nelle sue diverse forme, ferisce il volto dell’umanità e dell’ambiente che essa abita.
Che esso possa scomparire è un’illusione: ciò avverrà solo al ritorno del Figlio dell’Uomo. Rassegnarsi semplicemente alla sua presenza sarebbe una sconfitta. L’atteggiamento giusto è quello della pazienza, che è la perseverante benevolenza dettata dalla simpatia che viene dalla fiducia: fiducia in Dio e simpatia per il mondo.
Al mondo ferito dalle opere del Maligno il discepolo di Gesù si accosta con la disposizione d’animo di chi non si sente estraneo e neppure vuole esserlo: la simpatia è disposizione positiva, coinvolgimento sincero, considerazione amorevole. Essa sorge da una sorta di solidarietà spirituale con quanto ci circonda e ci impedisce di prendere le distanze, di dire «non mi interessa!», «io non c’entro». E quando, per diverse ragioni, la realtà che ci sta attorno viene a pesare su di noi, ci tocca e ci ferisce, quando il mondo nel quale siamo colpisce con la sua malvagità, l’invincibile simpatia che nutriamo a suo favore ci impedirà di reagire istintivamente e duramente. Riusciremo così a non perdere la calma, a non inasprirci, a non andare in collera, a non rispondere al male col male, a non cadere schiavi di un desiderio di giustizia sotto il quale si intravede una malcelata sete di rivincita o addirittura di vendetta.
La simpatia per il mondo, quella simpatia tenace che viene dalla fede in Dio, ci custodisce in una mite fermezza, a cui daremo il nome nobile di pazienza. Essa non è la virtù dei deboli, ma dei forti. È la virtù di chi resiste, di chi sa affrontare la sfida del tempo e concede così al prossimo che sbaglia la possibilità di ravvedersi e di riscattarsi. Forse sta proprio qui il senso di un particolare non secondario della parabola: il grano e la zizzania devono crescere insieme. La cernita avverrà alla fine, quando ci sarà la mietitura.
da Avvenire,23/11/2013