«La fede in Cristo fa storia: il trascorrere del tempo, l’evoluzione dei rapporti entro la famiglia, entro la comunità di appartenenza, il mutare delle situazioni, l’assunzione delle diverse responsabilità, il variare delle condizioni di lavoro, di salute… tutta la vita pone domande alla fede e tutta la vita riceve risposte, nuova luce dall’unica rivelazione di Gesù. La perseveranza nella fede scrive una storia salvata, in cui progressivamente si svela che “né morte, né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza, né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Gesù Cristo, nostro Signore” (Rm 8,38-39)». Questo ampio testo che conclude il n. 6 della lettera pastorale dell’Arcivescovo mette a tema il rapporto tra la fede e la storia. Un rapporto essenziale per la storia, ma anche per la fede.
Quante cose cambiano nel corso della vita. La mutazione è un elemento costitutivo – direi strutturale – dell’esperienza umana. Basti pensare, appunto, alle età della vita e allo sviluppo della propria personalità: non a caso parliamo di “tappe” della crescita. Anche le situazioni cambiano, a volte improvvisamente. Vi sono infatti mutazioni previste a cui ci si può preparare e altre invece per nulla prevedibili, che nella gran parte dei casi ci colgono impreparati.
È possibile stare saldi mentre tante cose mutano? Si deve forse pensare che con il cambiamento delle situazioni debba inevitabilmente cambiare anche ciò che noi siamo nel profondo di noi stessi? Non c’è qualcosa di noi e in noi che non può continuamente mutare? Si dice spesso di persone stimabili che sono persone “tutte d’un pezzo”, forti, sicure, affidabili. Nella prospettiva evangelica questo non significa che sono sicure di sé: sarebbe orgoglio e presunzione. Significa piuttosto che sono sostanzialmente serene e che davanti alle turbolenze della vita, ma anche solo alla mutazione degli scenari, non si smarriscono. Hanno certo coscienza della serietà di certe situazioni, della loro complessità, in certi casi del loro rischio. Non si sottraggono alle responsabilità che sono chiamati ad assumere. Semplicemente non si spaventano, non vanno in panico, non fuggono e nemmeno si deprimono. Piuttosto lottano con tutte le loro forze, si impegnano con tutte le loro energie, ma sempre con pacata magnanimità. E senza sentirsi degli eroi. Sanno su chi poggia la loro fiducia e sanno altresì che la potenza su cui possono contare per grazia è una potenza d’amore.
«Nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio in Cristo Gesù nostro Signore», dice san Paolo nel passo della Lettera ai Romani che è stato citato. Lui che ben sapeva che cosa significasse perseverare nelle prove.