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La testimonianza di Marina «ERO GIÀ SUL LETTINO, POI HO DETTO NO»

6 Marzo 2006

In attesa del mio quarto figlio desidero compiere un atto d’amore mettendo la mia esperienza a disposizione delle altre future mamme. Mi chiamo Marina, ho ventinove anni e aspetto un bimbo da quasi tre mesi: i primi momenti di questa gravidanza non sono stati assolutamente sereni.

Ho già tre bambini e la mia figlia più grande, Rossella, di undici anni, è stata colpita due anni fa da un tumore maligno alle ossa, è guarita dopo lunghe cure di chemioterapia. In questo periodo abbiamo capito ancor di più cos’è il valore della vita e quanto sia bello lottare per essa.

Ho già avuto tre interventi cesarei, e secondo il parere dei vari medici che ho consultato era assolutamente sconsigliabile portare avanti questa quarta gravidanza. E’ iniziato così il “calvario”, cioè l’iter burocratico per l’aborto. Le visite mediche erano demoralizzanti, mi sono sentita dire: «Deve aspettare che il feto sia più grande, altrimenti non riescono a raschiarlo, rischierebbe di ripetere l’intervento».

Piangendo rispondevo: «Ma è un bimbo, è crudele aspettare…»; il medico rettificava: «Beh, è ancora un feto. E’ un aborto terapeutico». Nessuno ha detto: «E’ un figlio, un’anima». Io e mio marito eravamo disperati; avevamo così tanto lottato per la vita di nostra figlia più grande e ora… ora stavamo uccidendo il nostro quarto figlio più piccolo! Non è profondamente ingiusto e disumano trattare i figli in modo così diverso l’uno dall’altro? Non hanno tutti uguale diritto di nascere e di vivere?

In preda a tanta disperazione siamo giunti al giorno dell’intervento. «Pochi minuti… non sentirà nulla»; così venivo incoraggiata e rispondevo «Io sì, ma lui?». Sono scappata via, con la camicia da notte e con la cartellina in mano, quando ero ormai pronta davanti alla sala operatoria.

C’erano altre due donne con me e quando hanno visto che riprendevo la mia roba e mi rivestivo mi hanno chiesto perché non facevo l’aborto. lo ho risposto che avevo capito cos’era l’infelicità o la felicità per me e per mio figlio. Il primario dello stesso ospedale mi ha rassicurato che mi seguirà per tutto il corso della gravidanza e che i problemi medici saranno prevenuti. Quando sono tornata a casa e ho visto che avevo avuto delle perdite, non l’ho definite una “minaccia d’aborto”, come si dice, bensì credo che mio figlio in quel modo abbia voluto bussare alla porta della sua vita, felice di essere amato e accettato come i suoi fratellini già nati.